Afghan mon amour

La nuova vita creativa del mondo afghano
in copertina: Disegno di Emilio Amaddeo Be.net/emilioamaddeo
C’era un tempo in cui Kabul era considerata la “Parigi dell’Asia Centrale”.
Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, questa città del Medioriente era crocevia di movimenti culturali e artistici unici e promotore di riforme democratiche e di una stabilità politica inimmaginabile oggi. L’Afghanistan era un paese ricco, libero e all’avanguardia: numerosi scatti dell’epoca, tra i quali quelli del professore universitario William Podlich, mostrano donne afghane in un contesto di integrazione quasi sconvolgente: indossano minigonne, coloratissime camicie volant e elegantissimi carré legati al collo.

Tutto inizia a cambiare nei decenni successivi, quando il territorio, conteso tra URSS e mujaheddin si trasforma in un vero e proprio teatro degli orrori tra guerre e colpi di stato, fino ad arrivare all’insediamento di un governo talebano, a inizio anni Novanta. I talebani applicano al Paese una versione estrema della shari’a, generando il totale annullamento del costume tipico del Paese, e proibendo categoricamente lo sforzo creativo dei designer dell’epoca, limitando le licenze vestimentarie a un numero molto limitato di capi, secondo le regole della purdah, la pratica culturale che prevede l’occultamento del corpo femminile.

Dal 2011, con la caduta del governo talebano e la conseguente deregolamentazione nei confronti dei codici abbigliamento, la cultura afghana ha progressivamente ripreso coscienza di sé e, dopo quasi dieci anni, oggi l’Afghanistan sta ricominciando a riappropriarsi di quell’identità culturale e multiculturale che l’ha caratterizzata per tutto il corso della sua storia, a partire, proprio, dai codici di abbigliamento.
Shalwar Kameez – l’abito tradizionale maschile afghano
Le tipologie di vestiti indossati in Afghanistan sono un riflesso della variegata composizione culturale del paese. Il celebre shalwar kameez (shalwar, i pantaloni larghi e stretti alla caviglia e kameez o kamis, la camicia lunga al ginocchio) è, infatti, una tipologia di abbigliamento presente in quasi tutta l’Asia Centrale che, in Afghanistan si è sviluppata principalmente in due forme:
- Khet partug – Il khet è l’indumento superiore, il kameez, che in questo caso si presenta simile a una tunica lunga fin sotto il ginocchio, con maniche larghe e una leggera sciancratura sul punto vita. Il partug, invece è la parte inferiore, costituita da pantaloni molto sciolti, a gamba larga e stretti alla caviglia. Il khet partug è spesso molto decorato, contrapponendo al tradizionale colore bianco di fondo, ricami molto accesi e variegati. Il khet partug è spesso accessoriato con una cintura in vita e da un copricapo come il Sindhi Topi.

- Tunban perahan – diffuso soprattutto nella zona nord-orientale del Paese, il tunban perahan si presenta con un kameez di lunghezza variabile dal ginocchio ai piedi con un breve spacco laterale e un shalwar a gamba dritta. I colori, in questo caso, variano dal bianco al beige e sono privi di decorazioni, fatta eccezione per semplici ricami a tono, come il diffusissimo kandahar doozi. Gli accessori, soprattutto i copricapi, che accompagnano il tunban perahan variano in base all’occcasione, alla religione e all’area geografica nella quale sono inseriti: così il preziosissimo qaraqul, il kufi il pakol o diverse tipologie di turbante accompagnano questo abito tradizionale.

Firaq partug – L’abito tradizionale femminile afghano

Firaq partug – a differenza di quanto si possa pensare, l’abito tradizionale femminile afghano ha molto poco a che fare con la purdah e, per quanto nella mente occidentale la donna afghana sia sinonimo di burqa, niqab e hijab, la tradizione pre-talebana vede una donna molto adorna, coloratissima ed estremamente particolareggiata. Il firaq partug è composto da tre parti:
- Chador – velo di lughezza variabile utilizzato per coprire il capo; nella tradzione afghana il chador non era indossato integralmente, lasciando intravedere i capelli, il collo e le forme del corpo.
- Firaq – una particolare tipologia di kameez: stretta al punto vita e lunga fino alle ginocchia, il firaq è un indumento estremamente colorato e decorato a contrasto, creando un forte stacco tra la zona spalle-vita e la zona vita-ginocchia.
- Partug – indumento inferiore, costituito da pantaloni molto sciolti, a gamba larga e stretti alla caviglia.
Oltre il burqa azzurro, dunque. Oltre quell’idea di Afghanistan completamente scevra da un’identità etnica che superi l’islamismo più estremo. Sì, perché dagli anni Dieci del Duemila, Kabul ha investito moltissimo sulla propria identità culturale e sulla forza creativa di giovani designer e stilisti afghani capaci di sfidare l’instabilità politica, la povertà e la limitatezza di materie prime per creare veri e propri fashion brands con l’obiettivo di riqualificare la tradizione sartoriale locale e di portare valore a un sistema di abbigliamento quasi dimenticato.
Alcuni di questi brand stanno cominciando a uscire dai confini nazionali, facendosi conoscere per la loro creatività e per la grande perizia tecnica con la quale confezionano i propri abiti;
Wordrobe ha deciso di farvene conoscere qualcuno:
Laman by Rahiba Rahim

Definita la Coco Chanel di Kabul, nel 2015 questa giovane imprenditrice decide di incanalare il suo interesse creativo e la sua profonda cultura locale in un brand capace di rivisitare e ripercorrere il costume afghano preislamico. Laman è diventato il simbolo della rinascita creativa di Kabul e, negli ultimi anni sta lavorando insistentemente per reinserire L’Afghanistan sulla Fashion Map.
La moda per me rappresenta una dichiarazione forte in una società conservativa. È espressione di me stessa come donna e come giovane afghana. Io dovrei avere il diritto di indossare i colori che voglio, come simbolo di libertà.
Rahiba Rahim, The Guardian

Hasina Aimaq

classe 1993, questa giovane designer ha trovato nella provocazione la chiave per il successo. La sua prima collezione, lanciata nel 2016, è stata al centro di numerose critiche all’interno del Paese, in quanto mostrava un kameez decorato a mano della stessa tonalità di azzurro del burqa talebano.
Il mio obiettivo è quello di mostrare un’immagine positiva dell’Afghanistan e, nello specifico, mostrare il talento delle donne afghane attraverso i miei disegni. Tutti fanno coincidere il burqa blu con l’Afghanistan e quindi ho pensato: caviamone fuori qualcosa di diverso e facciamo vedere a tutti di cosa sono capaci le donne afghane!”
Hasin Aimaq, The Guardian
Una dichiarazione d’intenti molto programmatica da parte della stilista che ogni anno propone collezioni piuttosto ridotte in termini numerici, ma assoluta espressione di grande perizia tecnica: i tessuti, le pietre tagliate a vivo, le cuciture a mano, si mescolano alla perfezione nelle creazioni sartoriali di questa giovane donna.

Kingnoorla

Un brand a tutti gli effetti, anche se non al 100% afghano. Kingoorla nasce nel 2013 a Los Angeles da un’idea della fondatrice afghana-americana Angela Ahmadi. Nato inizialmente come marchio ispirato al mondo afghano, Kingnoorla si è focalizzato sullo sviluppo della creatività del Paese, attraverso un processo virtuoso di retargettizzazione attraverso lo sfruttamento della versatilità dell’interesse culturale Occidentale.
il nome è una crasi tra i termini “King” (Re, in inglese), “Noor” (Luce, in arabo) e “L.A.” (Los Angeles)
La nuova vita creativa del mondo afghano
Altri piccoli marchi che di recente hanno fatto capolino nel fashion system e nell’immaginario creativo di Kabul sono i seguenti:
- Belawrin Design
- Senzel Designs
- Jama Designing Center
- TOKMA Fashion
È sicuramente interessante vedere come, nonostante un’economia decisamente poco fiorente, seppur in via di sviluppo e una situazione politica instabile, la voglia di creare non si sia mai spenta. Sì perché nonostante i 40 anni di dominazioni, di guerre e di estremismi l’Afghanistan non ha mai perso la propria identità. L’ha mantenuta sopita, sotto metri di stoffa blu e sotto tanto, tanto proibizionismo.
Tutto questo non è mai stato un deterrente e ora, nonostante le difficoltà contingenti sono numerose le donne e gli uomini che stanno dimostrando una forza creativa senza precedenti; una voce che è rimasta inespressa fino a questo momento e che ora non vede l’ora di uscire fuori e di urlare al mondo che anche l’Afghanistan c’è.
Anche l’Afghanistan crea.
Afghan, mon amour!
