Christian Dior

Questo non è un racconto qualsiasi. Parla di un uomo che cambiò profondamente la storia della Francia e che rese il Made in Paris, un marchio riconosciuto a livello mondiale. Un uomo che definì un nuovo concetto di estetica femminile, creando una silhouette in grado di lasciare un’impronta indelebile all’interno della storia della moda.
Signore e Signori ecco a voi, Monsieur Christian Dior.

Nasce a Granville il 21 gennaio 1905, una città di mare nel nord della Francia. Figlio di un industriale e di un’elegantissima donna molto conosciuta durante la Belle Époque, il piccolo Christian passa i primi anni di vita in una splendida casa nella città normanna, dove cresce felice con la sua famiglia.

Nel 1911 la famiglia Dior si trasferisce a Parigi, fulcro dei movimenti artistici e culturali dell’epoca che aiutano il giovane Christian a plasmare il proprio interesse nei confronti dell’arte e dell’architettura. L’adolescenza per lui passa in maniera del tutto spensierata e l’emergente passione per il bello si consuma, in compagnia degli amici, presso il bar Le Boeuf sur le Toit, salotto culturale frequentato dai più stimati artisti e letterati del momento, e presso le gallerie d’arte di Rue le Boétie, luogo di esposizione delle principali avanguardie artistiche dell’epoca. Stimolato da questo ambiente, decide di iscriversi all’Académie des Beaux-Arts ma incontra una reazione estremamente severa da parte della famiglia, che non considera la carriera artistica come una strada percorribile. Christian viene, dunque, indirizzato verso l’École des sciences politiques.
Le Boeuf sur le Toit, via Pinterest Rue le Boétie, via cartoliste.ficedl.info
È, tuttavia, in questo frangente inaspettato che Dior inizia a plasmare in maniera più netta la sua creatività: durante il suo percorso di studi ha modo di conoscere un gruppo di persone con le quali rimane in amicizia per tutta la sua vita, i quali, specializzati nelle più svariate forme d’arte, aprono gli occhi al futuro stilista sulle innumerevoli sfaccettature della creatività. Sono il musicista Henri Sauguet, il pittore Christian Bérard, l’attore André Fraigneau e lo stilista Marcel Herrand. Il contatto che, tuttavia, risulta immediatamente determinante è quello con Jean Bonjean, con il quale apre una galleria d’arte interamente finanziata dalla famiglia, nella quale espone principalmente opere appartenenti ai movimenti avanguardisti dell’epoca. Priva di qualsiasi riferimento al nome Dior, per esplicita richiesta della madre, la galleria ottiene un discreto successo fino al sopraggiungere della Grande Depressione.

Gli anni Trenta, infatti, portano ai Dior un notevole calo di liquidità che la famiglia deve tradurre necessariamente in un taglio ai finanziamenti del progetto del figlio, il quale è costretto a chiudere.
Tutto ciò constringe Christian a abbandonare la sua vita bohémien e a dedicarsi a una professione che potesse aiutare concretamente la famiglia. Uno dei pochi settori non ancora in crisi è proprio quello della moda.
Comincia, così, un periodo di studi molto intenso che, grazie all’attentissima supervisione degli illustratori di moda Jean Ozenne e Max Kenna, porta l’ormai trentenne Christian Dior a specializzarsi nel creare bozzetti e illustrazioni di moda.

Gli studi, l’impegno e le conoscenze altolocate lo portano presto a trovare un lavoro come disegnatore presso Le Figaro. Durante quest’esperienza ha modo di incontrare Robert Piguet, uno stilista molto in voga all’epoca. Proprio Piguet, nel 1938 gli propone di collaborare nel suo atelier come modellista, inserendo in collezione Café Angalis, un abito in pied de poul disegnato proprio da Dior. Da quel momento i giornalisti iniziano a parlare di Christian come un couturier emergente, da tenere d’occhio.

Nel 1939, tuttavia, allo scoppia la guerra, la sorte dello stilista cambia nuovamente. La moda subisce una battuta d’arresto e Dior viene arruolato nell’esercito.
Determinante in questo frangente diventa il rapporto con la sorella: Catherine Dior decide di andare a combattere con la resistenza francese e, catturata dalle truppe naziste, viene deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück. Proprio a lei, Christian dedicherà il celeberrimo profumo Miss Dior: l’elemento sorprendente, è che la fragranza è una vera e propria ode alla leggerezza, alla femminilità nella sua forma più innocente e delicata. Il fatto che la dedica sia rivolta a una donna forte e combattente come Madame Catherine è un elemento che carica ulteriormente di significato questo prodotto della Maison.

via Pinterest
Nel 1945 la Francia riemerge dalla guerra e dopo anni durante i quali il settore dell’abbigliamento combatte una vera e propria battaglia nella battaglia per non soccombere alle inevitabili politiche di austerità e razionamento dei tessuti, Christian Dior viene assunto a lavorare nell’atelier di Lucien Lelong, lo stilista che condusse una trattativa estenuante con il governo del Reich per evitare che la produzione dell’haute couture si spostasse da Parigi a Berlino e Vienna.

via Pinterest
L’estetica francese nel ’45 viveva un periodo particolare: da un lato si era fermata a un gusto austero tipico degli anni Trenta, fatto di spalline importanti, gonne lunghe e strette, grossi cappelli realizzati con scarti tessili, dall’altro il panorama creativo parigino aveva pochissimi punti di riferimento a causa della chiusura della maggior parte delle boutique. Si percepiva un vibrante desiderio di sentire nuove voci e di assistere a una rinascita della creatività. Cavalcando quest’onda Dior, insieme all’amico Pierre Balmain, provano a costruire una maison in comune. Il progetto, tuttavia, fallisce, e Balmain proseguirà da solo.

Roger Schall, Eleganza, 1941
Determinante per Christian è l’incontro con Marcel Bussac, colui che era conosciuto come “il re del cotone”. Bussac, desideroso di investire sulla rinascita di un marchio storico parigino, si fa convincere dalle innumerevoli voci che consigliavano di puntare sul talentuoso Christian Dior.
L’imprenditore, affascinato dalla visione dello stilista decide di stipulare un contratto investendo un capitale astronomico per l’epoca: 60 milioni di franchi.
Così Dior assume una completissima squadra di collaboratori, strutturando la sua azienda nei minimi dettagli, diventando modello e precursore delle moderne strutture aziendali in ambito moda: dà vita a un ufficio stampa e a un vero e proprio reparto marketing e comunicazione e imposta la produzione sul concetto di total look, per fare in modo che le clienti non avessero bisogno di andare in altri atelier.
La sede fu posta al 30 di Avenue Montaigne, lontana dal distretto del lusso dell’epoca, ma strategicamente frequentata e vicino a un hotel di lusso che potesse attirare la giusta clientela.
Si racconta, inoltre, che Monsierur Dior, passato di fronte alla sede, trovò a terra una carta dei tarocchi che fu interpretata come un segno inconfutabile del fatto che quello fosse il posto perfetto. La superstizione, tratto distintivo della personalità del couturier, lo accompagnò per tutta la carriera: si faceva leggere i tarocchi prima di ogni sfilata, inseriva un vestito rosso in ogni collezione perché riteneva che il colore portasse fortuna e tendeva ad inserire il mughetto, il suo fiore fortunato, all’interno di numerose sue creazioni, sia stampato sia, addirittura, cucito.
30 Avenue Montaigne, la sede storica
via athoughtfuleye.wordpress.comMonsieur Christian Dior di fronte alla sede, via ABC.com
Il New Look Dior
La sua prima collezione, la primavera/estate del 1947 è qualcosa di assolutamente in controtendenza rispetto alla moda dell’epoca.
Gli abiti mostrati in passerella hanno un respiro completamente nuovo: l’Acacia, la Corolle, L’Afrique sono creazioni che rilanciano, in qualche modo, l’immagine di una donna esaltata nella sua estetica e femminilità. L’apparato quasi razionalista degli anni Trenta lascia spazio a una silhouette caratterizzata da un punto vita molto stretto, a un’enfasi particolare sul seno e sui fianchi.
La collezione era talmente opposta alla moda anni Trenta che l’allora direttrice di Harper’s Bazaar Carmel Snow in una lettera rivolta allo stilista afferma: «It’s quite a revolution, dear Christian. Your dresses have such a new look».
Nasce così una delle leggende della moda contemporanea: il New Look. Nonostante il nome, questo stile di “new” aveva ben poco: era un ritorno al passato nelle sue linee così vittoriane e nella sua ispirazione, così Belle Époque.
Il New Look fu, a dire il vero, molto criticato per diverse ragioni. Molti vedevano la donna Dior come un’idea riduttiva di femminilità, costretta nelle sue forme e funzioni di donna di casa e riproduttrice: moltissime femministe americane criticarono duramente questo look, identificandolo come retrogrado e sessista. Non solo: in un’Europa in cui moltissimi stati erano ancora soggetti al razionamento dei tessuti, abiti così ricchi venivano considerati addirittura antipatriottici.
Al di là di tutte le critiche, Monsieur Christian identificò un bisogno intenso tra le donne del Dopoguerra: quello di sentirsi nuovamente femminili, nuovamente belle e di poter tornare a sognare. In quegli anni veste tutti, dai reali d’Europa, alle star di Hollywood fino ad arrivare a concepire e creare l’abito da sposa dell’imperatrice del Giappone.
Tutto il mondo parlava di Dior, anche grazie al fatto che le sue sfilate venivano concepite come veri e propri show, creando presso la stampa, unico mezzo di comunicazione dell’epoca, un grandissimo excitement intorno a ogni evento.
Ogni sfilata era, di fatto, una celebrazione della donna Dior, andando a reinterpretare collezione dopo collezione il New Look in forme e strutture ogni volta differenti.
Questa estetica durò esattamente sette anni, ebbe il suo apogeo con la Ligne Muguet del 1954 e scomparì l’anno successivo, eliminato dalla linea “H”.

Christian Dior – Corolle, New Look, 1947 Christian Dior, Chérie, New Look, 1947 Christian Dior, L’Afrique, New Look, 1947
La Linea H
La Francia ormai definitivamente fuori dal Dopoguerra cominciava ad abbandonare l’idea di donna-fiore delicata e bellissima proposta dall’haute couture parigina di quell’epoca. Alcune dichiarazioni di Coco Chanel, al suo ritorno sulle scene, inoltre, fecero molto scalpore nell’ambiente: «i couturiers hanno dimenticato che dentro i vestiti ci sono delle donne. […] Dior? Solo elucubrazioni costruite su cartone!».
La risposta dello stilista non si fa attendere. Non è una risposta a parole, bensì in passerella.
L’autunno 1954, la maison presenta «una linea del tutto diversa basata sulla lunghezza e assottigliamento del busto. […] È sulle parallele che formano la lettera H, che si costruiscono abiti, tailleur e mantelli». Grazie alla flessibilità dei tessuti scelti, gli abiti di questa collezione proiettano improvvisamente la maison in un’ottica contemporanea e avanguardista, consegnando il New Look al passato e adattandosi ancora una volta ai bisogni delle donne.
Nel 1957 Monsier Christian Dior era al culmine della sua celebrità: le sue creazioni erano vendute in tutto il mondo e il suo lavoro rappresentava il 75% delle esportazioni in ambito moda della Francia e il 7% delle esportazioni totali del Paese.
Proprio quell’anno, lo stilista più acclamato del momento muore improvvisamente, colto da un infarto mentre era in vacanza Montecatini.
Yves Saint-Laurent (1957-1960)

via D la Repubblica
La direzione creativa della maison parigina viene, a questo punto, presa in carico dal giovanissimo assistente del couturier che, appena diciannovenne, era entrato a far parte della maison, Yves Saint-Laurent.
Sotto la guida del giovane creativo, nel 1958 viene presentata la prima collezione, acclamata dalla critica come un successo paragonabile a quello dello stesso Dior nel 1947. I giornali dell’epoca titolavano di come «Yves Saint-Laurent avesse salvato Dior e la Francia» celebrando il lavoro del “maestro” attraverso una linea molto diversa, ma, allo stesso tempo, non contraddittoria.
La collezione sviluppa il concetto di New Look, liberandolo dalle costrizioni tipiche di quello stile, creando forme a sacco che piacevano molto alle donne per via della loro comodità e della praticità.
Saint-Laurent riesce a portare la maison Dior nel mondo del di prêt-à-porter, direzione verso la quale l’intero mondo della moda si stava muovendo.
Nel 1960, tuttavia, il giovane Yves viene chiamato a prestare servizio militare e, in seguito a un esaurimento nervoso, la casa di moda parigina lo licenzia, assumendo Marc Bohan.
Marc Bohan (1961-1989)

Assunto per gestire le collezioni nelle sedi di Londra nel 1957, il giovane francese viene ricordato come una figura lontana dai riflettori; un creativo d’introspezione, che fu in grado di espandere l’azienda Dior, senza dare alle collezioni troppa innovazione o azzardo, ma conferendo alla maison grande continuità, senza sbagliare mai nulla e consolidando il nome della propria azienda.
La prima collezione, del 1961 è quella che ha lanciato lo “Slim Look”, un adattamento delle linee classiche Dior a uno stile più contemporaneo. Più che una creatività innata, nei quasi trent’anni di direzione creativa, la vera cifra di Monsieur Bohan fu quella di rendere il marchio un vero e proprio colosso della moda. Lui è quello che nel 1967 crea definitivamente la linea prêt-à-porter, è colui il quale nel 1970 dà vita a Dior Homme e alla la linea di pellicce e, sempre sua, è la collezione Baby. Nascono in questi anni le numerose licenze, come l’intimo, la Parfums e l’eyewear.
Fu proprio grazie a Marc Bohan che la maison fu in grado di trasformarsi dalla boutique di successo parigina a una multinazionale, colosso del settore del lusso.
© 2013 Mark Shaw
Gianfranco Ferré (1989-1996)

Qualche anno prima dell’addio di Bohan, il marchio viene acquistato dall’industriale francese Bernard Arnault il quale, qualche anno più tardi fonderà uno dei gruppi commerciali più potenti al mondo: LVMH (Louis Vuitton Moët Hennessy).
Proprio Arnault fu colui il quale ritenne le ultime collezioni troppo poco avanguardiste e che ci fosse bisogno di un rinfrescamento di idee, dopo 28 anni.
Assume così, nel 1989, il giovane Gianfranco Ferré, uno degli stilisti emergenti di maggior successo nel panorama della moda di quel momento.
Il suo stile stravagante e ricercato si sposa alla perfezione con l’idea di lusso cara a Dior. Lo sfarzo, l’eleganza ostentata e la grande ricchezza dei materiali utilizzati riprendono in un certo modo il lavoro di Christian Dior, il cui unico desiderio era quello di esaltare la forma e la bellezza del corpo femminile.
Oltre alle ricche linee haute couture, Ferré è stato protagonista del lancio di una delle icone intramontabili della maison: la Lady Dior, dedicata a Lady Diana nel 1994, e diventata una delle icone più riconoscibili e intramontabili dell’eleganza del brand parigino. Ferré è anche complice di aver riqualificato il motivo cannage: «Il 12 febbraio 1947, per la sua prima sfilata, Christian Dior aveva disposto dietro ai divani Luigi XVI, nei saloni della sua boutique, delle sedie dorate in stile Napoleone III con seduta in cannage per far accomodare clienti e giornalisti. Senza saperlo, quel giorno Christian Dior corredò la Maison di un codice emblematico che continua ad animarla tuttora». Ferré è stato colui che ha fatto riaffacciare il brand sul concetto di creatività avanguardista e iconica. Fatto che completerà del tutto il prossimo protagonista: John Galliano.
John Galliano (1996-2011)

Assunto nel 1996, Galliano si presenta subito come il direttore creativo perfetto per quel periodo. Personalità estremamente eccentrica, trasporta il mondo fatato e sfarzoso creato da Ferré verso un’idea pop, molto al passo con i tempi.
Riprendendo in qualche modo il concetto di femminilità, di amore per gli abiti strutturati, Galliano bagna tutto con l’eccentricità creativa britannica e rende la maison il brand più spettacolare dell’epoca. Le sue sfilate erano il punto più alto di ogni Fashion Week parigina per la grande eco dell’evento e per l’attesa di vedere le sue ultime invenzioni.
Il grande merito di Galliano fu quello di saper mixare sapientemente colto e popolare, facendo vedere in passerella lo streetwear, il bondage, il clubbing, declinandoli all’estetica chic Christian Dior. È stato lui, inoltre, l’ideatore di icone intramontabili come la Saddle.
Anche le migliori storie d’amore, tuttavia, hanno un finale non sempre idilliaco.
Era il 2011 quando lo stilista britannico viene ripreso insultare un gruppo di ragazzi con pesanti frasi anti-semitiche, inneggianti a Hitler. Anni dopo in un’intervista ammetterà: «Ho sbagliato, non ero più io, sono stato in cura e ho lottato ogni minuto per quattro anni. E dopo quello che ho visto, quello che ho passato e ho fatto passare agli altri, ogni mattina ringrazio perché sono ancora vivo, perché mi risveglio nel mio letto».
Amato e odiato, celebrato e poi rinnegato, Dior oggi non sarebbe Dior senza Galliano: «Costi quel che costi, qualcuno deve portare Dior nel XXI secolo, anche se a calci e urla», disse nel corso di un’intervista a The South Bank Show nel ’96. Ci riuscì, con calci, urla e tutto il resto.
© Robert Fairer © Robert Fairer © Robert Fairer © Robert Fairer © Robert Fairer © Robert Fairer © Robert Fairer © Robert Fairer
Raf Simons (2012-2015)

Dopo l’addio di Galliano e un anno di transizione durante il quale viene affidato il compito di “traghettatore” all’inglese Bill Gaytten, si annuncia la nomina di Raf Simons, proveniente dalla quasi decennale esperienza in Jill Sander.
Il lavoro di Simons cerca di concentrarsi perlopiù sul recupero delle icone del decennio di attività di Monsieur Dior, valorizzando, inoltre, il valore dell’arte, concetto caro alla maison.
I tre anni di Raf Simons, tuttavia, non convinsero mai pienamente la direzione LVMH, che ha sempre esercitato una certa pressione sul belga.
Nel 2015 decide di rassegnare le proprie dimissioni e, in quell’anno, viene identificata la nuova direzione creativa nella figura della prima donna a coprire questo ruolo: Maria Grazia Chiuri.
Maria Grazia Chiuri (2015-)

Lei è la prima stilista, dopo John Galliano, in grado di conferire forza creativa alla maison. La sua cifra è stata, finora, quella di far tornare in voga delle icone ormai considerate demodé puntando moltissimo sulla comunicazione. La capacità di rendere Dior un brand digital a tutti gli effetti è sicuramente il grande merito della Chiuri che, seguendo la linea dei suoi predecessori, è stata in grado di dare forma al marchio a seconda dei bisogni e dei desideri del suo (e del “non-ancora-suo”) pubblico.
Lei, però, aggiunge qualcosa in più, cercando di approfondire tematiche sociali nell’intento di trasmettere un messaggio forte, sfruttando la visibilità della Maison per trasmettere valori positivi: così diventa virale la sua sfilata dedicata al femminismo con le t-shirt stampate “We should all be feminists” della P/E 2017 o, la cruise 2020, celebrazione del mondo africano realizzata in collaborazione con Uniwax, e in partnership con stilisti locali come Pathe’O o l’emergente Wales Bonner.
La frase chiave dei primi 5 anni di direzioni Chiuri è una: go viral!
La grande attenzione al mondo della comunicazione, portata avanti attraverso moltissime collaborazioni con personalità digitali (celebre il sodalizio con Chiara Ferragni, della quale disegna anche l’abito da sposa), rendono Dior un marchio quanto mai contemporaneo e del tutto in linea con quello che monsieur Christian ha sempre detto: «Una persona non può inventarsi una moda dal nulla, deve esserci qualcosa nella sua immaginazione che trovi riscontro nei discorsi della gente».
©Yannis Vlamos ©Manuel Campagna ©Yannis Vlamos (Photo credit should read -/AFP via Getty Images)