Giorgio Armani: una vita

La storia del re della moda, raccontata attraverso le sue parole
Alzi la mano chi di voi ha avuto il coraggio di mollare tutto, a un certo punto della propria carriera, per dedicarsi ai propri progetti. Ora alzi la mano chi, tra voi coraggiosi, è riuscito a diventare il migliore nel proprio campo, cambiando profondamente il settore al quale vi siete dedicati.
La storia di oggi ha come protagonista un uomo che ha fatto tutto questo. Un uomo che, quasi dal niente, è riuscito a costruire un impero della moda, ancora oggi metronomo di stile e eleganza senza tempo.
Oggi vi portiamo alla corte di Re Giorgio.
Giorgio Armani.

Giorgio Armani nasce a Piacenza, sulle rive del Po, l’11 luglio 1934. Qui cresce con il fratello Sergio, la sorella Rosanna, l’elegantissimo papà Ugo e l’adorata mamma Maria. La sua infanzia è molto felice ma, come accadeva per la maggior parte delle realtà rurali dell’epoca, concretamente a corto di risorse economiche.


Ho molti ricordi del mio passato, della mia infanzia. Sicuramente hanno influenzato le scelte nel mio lavoro. Mi ricordo l’eleganza di mia madre e mio padre. Molto essenziale. Forse era un’eleganza soprattuto interiore, anche perché non avevamo molti soldi. Ricordo che mia madre faceva i vestiti per noi ragazzi. Eravamo oggetto d’invidia da parte dei nostri compagni di scuola: sembravamo ricchi ma eravamo poverissimi.
Giorgio Armani in Made In Milan, 1990, Martin Scorsese
Ho passato dei momenti difficili. Abbiamo avuto un periodo in cui tutte le notti, alle 2.00, 3.00, 4.00 del mattino venivamo svegliati dai nostri genitori e portati nei rifugi, perché c’erano le formazioni aeree che arrivavano. Questa è un’esperienza tremenda per un bambino di 4-6 anni. Molti attribuiscono a questa mia infanzia difficile la mia capacità di immaginare mondi meravigliosi attraverso i vestiti. Probabilmente io da piccolo cominciavo ad aver voglia di sognare. Allora chi viaggiava erano solo i figli dei signori, dei ricchi. Tutto questo, probabilmente ha stimolato in me la voglia di conoscere, se non altro nella mia testa, mondi diversi. Credo che questo sia buona parte della mia riuscita.
Giorgio Armani intervistato da Stina Dabrowski, 2009

L’infanzia di Armani, fra bombardamenti e persino un ferimento a causa dell’esplosione di una bomba che lo costringe quaranta giorni in ospedale, forgia il carattere del personaggio e getta le basi per l’immaginario creativo dello stilista.
Nel 1949 si trasferisce con la famiglia a Milano, città ancora lontana dalla dimensione di “capitale della moda” che conosciamo ora ma già crocevia dei movimenti economici e culturali italiani della prima metà del Novecento.
Milano. Di Milano ho fatto la città eletta. Dove vivo e lavoro. I palazzi non sono imponenti o opulenti come quelli di Roma, ma se si va al di là della via stretta, oltre la facciata di queste case, si scoprono interni fantastici. Piccoli grandi giardini, atmosfere molto raccolte, raffinate, che fanno pensare a qualcosa di esclusivo ed elegante, che fanno pensare a una storia passata. Gode di una bellezza che è molto vicina al mio stile: il mio stile di vita, il mio modo di vedere. Dal 1949 anche Milano è cambiata, pur non perdendo l’atmosfera coinvolgente nella quale ti può immergere con la tua vita e il tuo lavoro. Perché Milano ti permette di partecipare alla sua vita, a seconda delle tue esigenze personali. Io ho pochissime ore al giorno per me stesso. La mia scelta di vita è stata il lavoro. Per questo io penso di fare parte di questa città, come questa città fa parte di me.
Giorgio Armani in Made In Milan, 1990, Martin Scorsese
In questo contesto, così vibrante e frenetico, il nostro protagonista cresce, diplomandosi nel 1953 e iscrivendosi a medicina «senza troppa convinzione», come lui più volte ha affermato. Il servizio militare, due anni più tardi, lo costringe ad interrompere il percorso accademico fornendogli, in un certo senso, un po’ di tempo per riflettere sul proprio futuro. Tornato dal servizio di leva, infatti, il nostro protagonista non torna tra i banchi dell’Università Statale, ma comincia a cercare lavoro e, tramite l’amica Rachele Enriquez, inizia a lavorare in Rinascente, il grande magazzino milanese, specializzato in abbigliamento.

Ho approcciato al mondo della moda per puro caso. Io stavo in licenza di convalescenza, essendomi imboscato durante il servizio militare, mi trovavo a Milano, disoccupato; allora, tramite una conoscenza, sono entrato alla Rinascente per occuparmi di qualsiasi cosa mi si offrisse. Mi venne offerto di occuparmi di abbigliamento, insieme a questa cosa, non vera, delle vetrine… io non allestivo le vetrine, ma assistevo gli architetti che si occupavano degli allestimenti. Così è arrivato per caso; non mi aspettavo di diventare uno stilista di moda, anche perché era una figura che non esisteva all’epoca. Diciamo che non ero molto cosciente di me stesso: avevo intrapreso gli studi in medicina senza troppa convinzione, avevo approfittato del servizio militare per interromperli, e cercavo di capire cosa volevo fare nella vita. È stato un puro caso che mi occupassi di moda, odiandola anche! Non è che all’inizio l’amassi moltissimo”.
Giorgio Armani intervistato da Enzo Biagi, 1983

Così ha inizio un rapporto certamente particolare del giovane Armani con la moda. La odia all’inizio, gli sta stretta. È frenetica e diametralmente opposta rispetto a tutto quello che conosce a livello universitario. La moda è diversa e pretende, oltre al duro lavoro, una certa dose di talento, una dote innata che, per chi non ama il settore, è poco individuabile. Armani lo possiede, il talento, ma non lo capisce subito, sono gli altri che glielo fanno capire. I primi contatti che crea nel mondo della moda fanno in modo che il giovane stilista prenda coscienza delle proprie doti creative. Questa consapevolezza si rende concreta nel 1965, anno nel quale gli viene offerto di collaborare con Nino Cerruti per ridisegnare il marchio Hitman, la società di confezioni dei prodotti del Lanificio Fratelli Cerruti.
Casualmente sono entrato in contatto con persone che si occupavano di moda secondo vari settori: la pubblicità, la distribuzione… ho scoperto che potevo dare qualcosa a livello creativo. Ho accettato di entrare in una grande industria di abbigliamento e di occuparmi di abbigliamento maschile. Lì ho imparato tutto da zero: il disegno, il tessuto… io avevo semplicemente studiato medicina, non avevo fatto una scuola di disegno!
Inside Giorgio Armani’s Fashion Legacy | The Business of Fashion, 2015
Nel momento in cui Cerruti mi propose di fare questo mestiere, impiegai davvero poco ad avere amore per i tessuti. Passai molto tempo in fabbrica e imparai a rispettare il lavoro dei tecnici: capii che un campione di tessuto caduto in terra va raccolto, non spostato con il piede. È molto importante che anche il lavoro più umile sia rispettato.
Giorgio Armani intervistato da Stina Dabrowski, 2015
Proprio grazie al sodalizio con Cerruti, Armani impara a conoscere profondamente questo settore, approfondendo la dialettica dei tessuti e degli accostamenti e iniziando a concepire una propria idea di stile e di moda che rimarrà indissolubile per tutto il corso della sua carriera creativa. Studiando a fondo l’abbigliamento maschile, durante i sette anni di permanenza in Hitman, capisce che l’estetica dell’uomo aveva bisogno di un cambio. Di una rivoluzione.
La struttura aziendale della ditta di Cerruti gli insegna il mestiere e lo aiuta a creare una metodologia di lavoro ma, sentendosi probabilmente troppo limitato da logiche aziendali, nel 1973, a quaranta anni, prende la decisione di mettersi in proprio. In questa scelta ha un grande peso un personaggio, Sergio Galeotti, conosciuto dallo stilista qualche anno prima. Galeotti è una figura cruciale per Armani, quasi quanto Pierre Bergé lo fu per Yves Saint-Laurent. I due instaurano un rapporto di affetto profondo, al di là del sodalizio professionale che, come affermato da Armani nel 2000 a Vanity Fair «definire amore sarebbe riduttivo».

Preso in affitto un piccolo ufficio in Corso Venezia, i due cominciano ad occuparsi di consulenze di immagine e di stile, acquisendo importanti clienti, come Max Mara, Hilton, Allegri e Bagutta. L’assunzione di una consapevolezza creativa giunge nel 1974, quando Giorgio Armani sfila nella Sala Bianca di Palazzo Pitti come stilista freelance, tra l’approvazione degli addetti ai lavori. Gratificati dai numerosi successi ottenuti, Galeotti e Armani decidono di iniziare a collaborare in una nuova sfida imprenditoriale. È il 1975. Ha inizio la Giorgio Armani S.p.A.

Leggenda narra che l’avvio dell’attività sia finanziato dalla vendita della Volkswagen dello stilista che gli frutta 10 milioni di lire. Con questo capitale i primi investimenti consistono nell’affitto di alcuni locali in centro a Milano e nell’assunzione di un ristretto numero di dipendenti. Gli inizi per Re Giorgio non sono per niente semplici. All’interno della sua biografia racconta quanto segue:
«Sono stati anni di sacrifici e fatica. Non avevo più tempo per me. Spesso mi ritrovavo a piangere disperato alle undici di sera, in fabbrica, dove ero rimasto solo tra migliaia di metri di stoffa. Andavo su e giù da Milano a Biella con la mia macchinetta di quinta mano nella nebbia e nella neve».
Il successo, però, non tarda ad arrivare.

GIORGIO ARMANI E LA GIACCA DESTRUTTURATA

Già verso la fine degli anni Settanta, il fashion system inizia ad accorgersi di questo designer emergente che, sottovoce, stava avviando una piccola rivoluzione all’interno del menswear italiano. Collezione, dopo collezione, le linee Giorgio Armani, sia maschili, sia femminili propongono un abbigliamento formale totalmente innovativo e soprattutto… destrutturato. Già dai tempi della Hitman, infatti, Armani studia una linea di abiti maschili molto meno rigidi e, già dalle prime collezioni della Giorgio Armani, la destrutturazione delle giacche diventa una costante della sua cifra stilistica.
Quello che volli fare subito era togliere quest’immagine troppo rigida al vestito maschile e conferire un’aria sciolta, disinvolta, più vicina al corpo umano. Credo che questo sia stato il mio punto di partenza favorevole, in un momento in cui la moda aveva bisogno di un cambiamento.
Giorgio Armani intervistato da Stina Dabrowski, 2015

Le giacche destrutturate Armani erano completamente sfoderate, leggere, realizzate con stoffe morbide e del tutto prive di supporti interni, come imbottiture e controfodere. I bottoni sono spostati e le tradizionali proporzioni spalle-busto-vita sono completamente ridisegnate in favore di un’estetica più fluida. Il suo stile predilige tagli nitidi e puliti, realizzati in una gamma di colori freddi: i blu, i grigi e, soprattutto, il greige, una via di mezzo tra grigio e color terra, sostanzialmente una tonalità del color tortora, diventato quasi un trademark della casa di moda milanese. Anche la giacca da donna modellata su quella maschile, è destrutturata e si pone come obiettivo quello di diventare la divisa delle nuove donne in carriera, bisognose di praticità e di eleganza.

Il business wear di quegli anni impazzisce per Armani e, il fashion system più razionale e immediato, quello americano, esalta il lavoro dello stilista piacentino. Nel 1979, infatti, Armani è insignito il prestigioso Neiman Marcus Award e, gli stessi giorni, Saks Fifth Avenue a New York organizza un Trunk Show della sua collezione. Numerosi clienti, buyer e giornalisti statunitensi assistono a una delle sfilate più significative di quel periodo storico che, di fatto, sancisce la consacrazione della maison milanese nell’Olimpo della moda mondiale, confermata nel 1982 dalla copertina di Times, onore che, fino a quel momento era stato riservato solo a Christian Dior in ambito moda.

EMPORIO ARMANI (dal 1981)

Il successo dilagante e la grande espansione della casa di moda, veicolato anche dalla grande arguzia imprenditoriale del Galeotti, fa in modo che la società riesca a cogliere le opportunità di business decisamente innovative per l’epoca. I due soci capiscono, infatti, che la generazione X, i giovani dell’epoca, figli di un assoluto affrancamento della moda casual, avessero bisogno di un punto di riferimento accessibile, facile e riconoscibile. I due decidono di creare un nuovo label, figlio del brand core Giorgio Armani, ma con caratteristiche profondamente diverse. Nasce così, nel 1981 Emporio Armani: il denim era la parte centrale dell’offerta, rendendo Emporio il primo vero marchio della moda italiana ad occuparsi di jeans. Questa scelta fu apertamente criticata dal fashion system dell’epoca, poco incline ad accettare licenze troppo contemporanee. Gli Xennials, però, ne vanno matti e il successo commerciale di questa linea è strepitoso: è cool, è fresca e soprattutto… è Armani! Ad aiutare c’è anche il nome, “Emporio”, un termine che, letteralmente, indica il luogo in cui è possibile trovare tutto, al giusto prezzo. Anche il logo, l’iconico aquilotto, raggiunge rapidamente una riconoscibilità internazionale:

L’aquilotto nacque per caso. Mi viene ancora in mente il momento in cui lo disegnai, mentre ero al telefono, a seguito di una richiesta del mio socio Sergio Galeotti che aveva l’urgenza di definire un logo. Buttai giù lo schizzo, senza troppo pensare, e quel simbolo di irraggiungibilità lanciò il mio nome nell’Olimpo dei giovani. Non avrei mai pensato che quel disegno, fatto in fretta, potesse essere un segno così travolgente.
Vogue Italia, 12 domande a Giorgio Armani, 9/11/2018
ARMANI JEANS (1982-2018)

Il denimwear riscuote talmente tanto successo che, a un anno dall’apertura dell’Emporio, Galeotti e Armani decidono di investire ulteriormente in questo settore. Nasce Armani Jeans, una linea decisamente più democratica, più continuativa e che fosse in grado di garantire degli introiti più costanti al marchio. Dopo quasi trent’anni di successi, nel 2018 Armani Jeans è inglobata da Emporio Armani, seguendo la tendenza degli anni Dieci di riassorbimento dell’offerta.
A|X ARMANI EXCHANGE (dal 1991)
Nel 1991 ebbi un’intuizione e la chiamai A|X. Guardavo la realtà della strada e, prima che diventasse una moda, creai un abbigliamento veloce, economico e metropolitano, dedicato ai giovani o chi possedesse un mindset giovane. Questo spirito resiste anche oggi nei vestiti e negli accessori.
Armaniexchange.com
Pioniere della moda streetwear Giorgio Armani capisce, nel 1991, che negli Stati Uniti si sta assistendo a un movimento bottom-up senza precedenti. Lo streetwear, l’activewear e certe subculture come l’hip-hop stanno influenzando in maniera importante l’abbigliamento dei giovani di allora. Lo stilista piacentino è il primo ad investire su questo settore, cercando una formula che fosse adatta a un mercato giovane e che fosse libera dalle imposizioni della moda. A|X viene lanciata nel mercato statunitense anticipando di circa vent’anni la tendenza di street-chic così presente nel gusto contemporaneo. Nel 2018 il marchio esce dai confini a stelle e strisce, diventando il sostituto più contemporaneo e sporty degli ormai dimenticati Armani Jeans e Armani Collezioni. Dal 2018 Armani Exchange è main sponsor tecnico del club cestistico Olimpia Milano.

Armani Collezioni (2000-2018)

Nasce nel 2000 per sopperire alla richiesta di capi più continuativi che fossero più accessibili rispetto al core label Giorgio Armani. La classicità, la misura e l’eleganza dei capi Armani Collezioni contribuiscono per diciotto anni al fatturato dell’azienda e costituiscono un’alternativa concreta e un entry price favorevole ai capi Giorgio Armani. Nel 2018, come per Armani Jeans, l’etichetta viene inglobata all’interno di Emporio Armani.
EA7 (Dal 2004)

L’activewear per eccellenza. Da sempre amante del basket, del calcio e dello sport, Giorgio Armani decide di lanciare il marchio Emporio Armani 7 dedicandolo all’attaccante del Milan di quegli anni, il numero 7 rossonero Andriy Shevchenko. Questo brand entra a far parte del mondo sportivo in maniera molto presente ponendosi da subito come competitor di colossi dello sport come Nike, Adidas o Puma. Sponsor ufficiale del CONI dal 2012, EA7 ha vestito la squadra olimpica a Londra 2012, Sochi 2014 e a Rio 2016. È sponsor tecnico di Olimpia Milano, squadra di pallacanestro della quale Armani detiene l’80% del pacchetto azionario.

Armani Privé (dal 2005)

L’alta moda secondo Giorgio Armani.
Per quanto l’abilità imprenditoriale di Re Giorgio abbia fatto in modo che le etichette avessero successo su diversi piani di stile e di immagine, senza minare l’aura di lusso del marchio Armani, non bisogna mai dimenticare che Giorgio Armani è una delle menti creative più influenti del nostro Paese. L’apertura dell’etichetta Armani Privé ne è la prova. Le collezioni da più di dieci anni stupiscono grazie alla dialettica di rigore ed eccentricità. Molte le interviste ad artisti, attori e giornalisti riguardanti la linea haute-couture che sono state raccolte negli anni. Alcune di queste spiegano molto bene l’anima di questo label:
Per me lo stile Armani Privé è pieno di dualismi, è maschile, è femminile, è fragile e forte, è incredibilmente semplice e chic, ma ha anche ricami lussuosi, meravigliosi, esotici. Penso ai diversi stili che utilizza: le frange, il tulle, il velluto nero, abiti sinuosi, abiti da ballo. È straordinario il talento che ha nel creare look così diversi.
Cate Blanchett, Armani Privé, Lo Sguardo Oltre, 2020
Ho trovato una cura di quello che è il passato e la storia di Armani e, allo stesso tempo, un’innovazione sorprendente. In Armani Privé convivono il rigore e l’eccentricità in un equilibrio perfetto.
Alba Rohrwacher, Armani Privé, Lo Sguardo Oltre, 2020
Dietro ogni abito di alta moda c’è un valore molto semplice: l’umanità. Il lavoro manuale che non ha tempo. Il lavoro intrinseco umano. Questa è la couture.
Simone Marchetti, giornalista, Armani Privé, Lo Sguardo Oltre, 2020
Nel marzo 2020, in piena emergenza COVID19, Giorgio Armani annuncia che le future sfilate Armani Privé, avrebbero cambiato location a partire dall’anno successivo, spostandosi da Parigi a Milano, con l’obiettivo di supportare l’economia italiana in crisi.
ARMANI OLTRE LA MODA
A parte le produzioni in licenza come il settore beauty, in collaborazione con L’Oreal, e l’eyewear, in partnership con Luxottica, il marchio Armani si è esteso in numerosi settori merceologici:
Armani/Fiori: nasce a Milano nel 2000 con l’apertura della boutique onnicomprensiva Armani/Manzoni 31. Il successo degli allestimenti floreali a marchio Armani ha fatto in modo che, ad oggi, siano stati aperti ben 15 corner Armani/Fiori nel mondo

Armani/Casa: linea home decor nata nel 2000, si avvale di uno studio di interior design, aperto nel 2004 molto attivo a Milano, specializzato in progetti custom per privati e aziende.

Armani/Dolci: dal 2002 è l’espressione del lifestyle Armani dedicata al mondo del gusto. Anche quest’attività è stata realizzata per estendere l’esperienza sensoriale della boutique Armani/Manzoni 31 e, ad oggi, conta quindici punti vendita in tutto il mondo. Il mondo Armani/Dolci, creato inizialmente in collaborazione con Venchi, è ad oggi internalizzato e si avvale dell’esperienza del maitre Guido Gobino.

Armani/Hotel: presente dal 2010 presso il lussuosissimo Burj Kalifah di Dubai e dal 2012 in via Manzoni a Milano, il mondo dell’hotellerie ha accolto il re della moda, integrando lo stile Armani in due vere e proprie perle del settore.

Armani/Restaurant: debuttante nel food & beverage dal 1998 con un primo ristorante a Parigi e premiato nel 2018 con una stella Michelin, l’esperienza si è ripetuta in diversi luoghi del mondo, come Dubai, Milano, Monaco e Tokyo.

Armani/Privé: niente a che vedere con la linea d’alta moda, il gusto e l’eleganza Giorgio Armani si sono estese fino ad arrivare al mondo dell clubbing, realizzando due lussuose discoteche a Milano e Dubai.

Armani/Silos: è uno spazio espositivo di 4500mq strutturato su quattro livelli. Aperto nell’aprile 2015 in via Borgognone a Milano, nella sede dell’ex fabbrica Nestlé, il Silos ha l’obiettivo di mostrare e celebrare l’opera creativa di Giorgio Armani. La ricerca di semplicità, insieme alla preferenza per le forme geometriche regolari e un desiderio di uniformità, hanno prodotto un edificio sobrio ma monumentale basato sulla regola dell’ordine e del rigore. Una risposta razionale a esigenze pratiche dove gli spazi rispettano l’architettura originale e preservano l’insolita forma dell’edificio che richiama un alveare, metafora di operosità. La ristrutturazione dello spazio espositivo sottolinea la filosofia estetica e il dinamismo creativo del designer.

Armani/Teatro: realizzato all’interno dell’Armani/Silos, il Teatro è oggi lo spazio dedicato alle sfilate del core brand Giorgio Armani, progettato a quattro mani con l’architetto Tadao Ando.

LO STILE ARMANI – una forza creativa sussurrata
A chi chiede se sia più facile disegnare una collezione maschile o femminile rispondo semplicemente che quella maschile la disegno con la mano sinistra, come un pianista che si impratichisce con le scale. Per la donna è un altro discorso. La donna ha tanti modi di vestirsi e quindi tante richieste da fare a chi disegna per lei. E proprio questo, se da un lato rende difficile il mio intervento, dall’altro stimola in continuazione la mia creatività. […] la società cambia e devono cambiare i miei vestiti. Cerco di mediare le mie idee con le realtà che mi trovo di fronte di volta in volta. È come se mi trovassi su un set di un film: il film è la vita. I miei vestiti ne sono i costumi.
Giorgio Armani in Made In Milan, 1990, Martin Scorsese
Ho imposto il mio stile nel mondo, lo dicono i giornali, lo dice la gente, lo dicono i compratori. Hanno trovato nel mio modo di fare moda, uno stile che si ripropone ogni volta, in maniera molto coerente, ma anche molto innovativo. Questo credo sia stato il segreto del mio successo: non vedo il motivo di fare un lavoro creativo che sia fine a se stesso. Per le persone amanti della moda e dell’eccesso lo stile Armani è statico. Ma è una scelta che io ho fatto. Vorrei far vedere a tanta stampa quante cose ho fatto che nessuno ha notato come fatto creativo. Quello che ho fatto è stato filtrato anche dalla clientela, che non vuole che Armani diventi “quello-che-segue-le-tendenze”, ma che sia se stesso. La gente da me vuole lo stile Armani, insieme alla qualità, al comfort, all’innovazione. Vuole il logico, non l’irrazionale.
Inside Giorgio Armani’s Fashion Legacy | The Business of Fashion, 2015
Una creatività sussurrata, quasi interiore. Il termine “Armani” ormai è quasi allegoria di eleganza, sinonimo di misura e raffinatezza. Un’idea di moda scevra delle logiche del glamour e approcciata in maniera sempre intelligente e posata. Del resto anche un artista del glamour come Gianni Versace lo diceva: “Vedi Giorgio? Tu vesti le donne eleganti… io vesto le zoccole!”
LE SFILATE STORICHE
Uno stile posato, certo, ma sempre creativo senza essere falsamente avveniristico e timeless, senza essere noiosamente tradizionalista. Questa è la ragione per la quale, stagione dopo stagione, le sfilate di Armani hanno dettato le regole del buon gusto e della creatività senza eccesso. Ogni sfilata non è semplicemente un evento mondano, è una rappresentazione di un sostrato sociale meritocratico, una passerella nella passerella, attorno alla quale si raccolgono i migliori talenti contemporanei. Non è solo moda fine a se stessa, ma è esaltazione della mente, dell’impegno, del lavoro. Così, scalzando un’idea esclusivista, le sfilate Armani hanno visto prime file occupate da architetti, come Gae Aulenti, premi Nobel, come Camillo José Cela, ma anche personaggi del mondo dello spettacolo come Mia Martini, Elena Sofia Ricci, politici, come Beppe Sala o giornalisti, come Lilli Gruber e Enzo Biagi. Arte, cultura, finanza, imprenditoria, politica: ogni anno i rappresentanti più prestigiosi dei tanti volti del lavoro si trovano attorno a quest’espressione di semplicità disadorna, di creatività apparentemente sommessa, eppure sontuosa e spettacolare.
Giorgio Armani autunno/inverno 1981-82: la celebre collezione Kagemusha, ispirata all’omonimo film di Akira Kurosawa, mostra l’amore di Armani per l’Oriente e per il cinema.
Il film racconta la storia di un ladro che prende il posto di un re, che è il suo alter ego. Ma quando il re muore, il ladro deve combattere al suo posto. Ero molto orgoglioso di quella collezione. anche se non si è venduta molto bene. Ho realizzato che era piena di idee che non erano puro Armani. Il mio lavoro è di compiacere il pubblico, non cercare di shockarlo
Armani: le ispirazioni asiatiche, le elezioni europee, il rinnovo dell’Armani Tower e la gioia del silenzio; fashionnetwork.com, 28/05/2018
Giorgio Armani primavera/estate 1991 “Storia d’Amore” :
Una bellezza anche da mattina, da dono quotidiano. Una sirena accanto alla quale è possibile pensare, camminare, riposare, portare fuori il cane, guidare, guardare, leggere. Un corpo dolce su cui i vestiti si ammorbidiscono, si scaldano, si fanno vissuti come una vestaglia, come un bacio profondo. Lui l’accompagna, l’ammira, l’ascolta, pensa a immaginare una vita insieme.
Catalogo primavera/estate 1991
Il catalogo della p/e ’91 espone molto chiaramente l’idea di “storia d’amore” secondo Armani. È un amore veicolato dalla connessione mentale, un rapporto cerebrale nel quale uomo e donna sono sullo stesso piano. Il valore della donna è esaltato anche dall’estetica: gli abiti in passerella sono estremamente androgini, amorfi, forieri di un’idea di businesswoman che si prende quasi gioco del guardaroba maschile, indossando i completi aperti, le camicie sbottonate e le importanti cravatte regimental a mo’ di carré.

Giorgio Armani primavera/estate 2001: Sarah Ferguson, Phil Collins, Sophia Loren e Robert De Niro tra gli ospiti di quell’iconica sfilata che regalava al pubblico una retrospettiva del lavoro dello stilista. La donna Armani mostra uno charme a metà tra il vanesio e l’androfilo, indossando larghi pantaloni con le pence sorretti da sfavillanti bretelle, giacche destrutturate e t-shirt smanicate. La razionalità e la fluidità di questo stile sono sapientemente contrapposte a abiti in pizzo ultraleggero decorati con lievi motivi a foglia e da abiti da sera estremamente femminili, backless e glitterati.

Armani Privé autunno 2007: l’haute-couture diventa rock! A solo un anno dall’apertura della linea di alta moda, Giorgio Armani osa e porta la musica rock a Parigi. Gli stivali glitterati, i fedora portati a mo’ di Bowie o i guanti gioiello fingerless portati su una mano sola, di chiara eco Jacksoniana. Il mondo Armani si tinge di colore, di musica, di azzardo, quasi come in una dichiarazione di poetica nella quale si chiarisce un intento di spregiudicatezza nell’haute couture del brand meneghino.
Sfilate ONE NIGHT ONLY: Sfilate speciali intente a celebrare il rapporto del marchio Armani con un determinato Paese. Degne di nota la notte di Pechino nel 2012, New York e Roma nel 2013 e Parigi nel 2014.
Emporio Armani primavera/estate 2019: Emporio prende il volo! L’aeroporto di Milano Linate è stato ospite, nella primavera 2018 di uno degli show più innovativi e insoliti nella storia della moda. Gli ospiti, oltre 1400, hanno svolto regolare check-in, con invito/carta d’imbarco alla mano per raggiungere l’Hangar 17, sponsorizzato dal brand sin dal 1996. Lo show, comprendente di 166 look tra menswear e womenswear ha presentato una collezione molto tecnica, tendente all’activewear, in perfetta armonia con lo spazio aeroportuale. Ma la sorpresa è arrivata nel finale, quando, terminato lo show, un inatteso Robbie Williams ha regalato un sensazionale concerto a tutti i presenti.



Giorgio Armani autunno/inverno 2020-21: quasi novantenne, il signor Armani mostra la sua capacità di adattamento anche in quest’occasione. Durante le sfilate di febbraio, appena venuti a conoscenza dei primi casi di COVID 19 a Milano, lo stilista è il primo a decidere di chiudere le porte del suo show, mostrando la sua collezione invernale in un contesto silenzioso, privo di flash e di applausi. Poche settimane dopo, in una lettera indirizzata a WWD criticherà fortemente il sistema moda per i suoi ritmi inutilmente esagerati, annunciando un radicale cambio di approccio, verso un modello più umano e più sostenibile.
Per anni ho avanzato le solite domande durante le conferenze stampa post-sfilata, domande spesso rimaste inascoltate o considerate moraliste. L’emergenza attuale mostra che un attento e intelligente rallentamento sia l’unica via d’uscita. È una strada che finalmente riporterà valore al nostro lavoro e che farà in modo che il cliente finale ne percepisca l’importanza. Il declino del fashion system come lo conosciamo è cominciato quando il segmento del lusso ha adottato le modalità operative del fast fashion, mimando questo sistema nella speranza di vendere di più e dimenticandosi che il lusso richiede tempo per essere raggiunto e apprezzato. Il lusso non può e non deve essere “fast”. Non ha senso che una delle mie giacche o abiti sopravvivano nei negozi solo tre settimane prima di diventare obsoleti, rimpiazzate da nuovi abiti non molto diversi. Io non lavoro così e trovo immorale lavorare così. Ho sempre creduto in un’idea di eleganza senza tempo, che non è solo un preciso codice estetico, ma anche un approccio al disegno e alla realizzazione dei capi. Per la stessa ragione trovo assurdo che nel bel mezzo dell’inverno, nelle boutique troviamo solo abiti in lino, mentre i cappotti in alpaca ci sono in estate, per la sola e semplice ragione che il desiderio di acquisto debba essere soddisfatto immediatamente.
Giorgio Armani, An Open Letter to WWD, 04/03/2020
Il Signor Armani – una vita per il lavoro
Dal 1975 al 1985 la struttura aziendale era ben definita, con Giorgio Armani al timone della direzione creativa e Sergio Galeotti alla direzione finanziaria. Tutto cambia quando, nel 1985, il Galeotti perde la vita, in seguito a una lunga malattia.
È stata una grande fatica riuscire a vincere il dolore per la perdita di questa persona. E prima ancora il vederlo malato, sentirmi solo in questa cosa. Però mi ha dato una grande forza. Quando lui è mancato, ho capito che non dovevo rinunciare a quello che era il suo sogno. All’inizio è stato molto difficile, perché rimaneva un grande vuoto attorno a me. Rimaneva anche la mancanza di una molla, di un interesse: tutto quello che avevamo fatto, l’avevamo fatto insieme. Passai anche un momento difficile nel quale ci fu una fuga di persone in posizioni importanti. Questo mi insegnò a vedere le cose con più freddezza e più distacco nei rapporti umani e a capire che ci sono momenti in cui puoi essere abbandonato. Ho messo da parte certe timidezze, certe insicurezze per riuscire a gestire questo grande Gruppo con molta attenzione e molta fermezza e vestendo il duplice ruolo di creativo e di manager, cosa che non è facile.
Giorgio Armani intervistato da Stina Dabrowski, 2009
Sempre molto riservato riguardo ai suoi rapporti privati, il sig. Armani ha sempre dichiarato di aver dedicato la quasi totalità della sua vita al lavoro, legando a doppio filo le relazioni lavorative con quelle personali.
La mia vita si riduce a poche ore al giorno, dalle nove di sera a mezzanotte. Nel weekend, io posseggo delle case, quindi spesso mi circondo di persone che sono persone del mio ufficio, che sono diventate amiche dopo tanti anni. È un circolo chiuso: la vita è il lavoro, il lavoro è la vita. La gente che lavora con me sono i miei amici e i miei amici sono coloro che sposano la mia causa. […] Il mio più grande rimpianto che ho è quello di non essermi troppo occupato di me stesso. Sono stato molto attento con gli altri, quasi al servizio degli altri, al punto che addirittura avrei dovuto abbandonare il mio lavoro, o dividere il tempo della mia vita tra il privato e il pubblico. Non sono riuscito a farlo.
Inside Giorgio Armani’s Fashion Legacy | The Business of Fashion, 2015
Armani dopo Armani
È immaginabile la Giorgio Armani senza Giorgio Armani? È possibile sostituire un genio creativo, un imprenditore irreprensibile che ha portato lo stile italiano ad essere ammirato e desiderato in tutto il mondo? Forse no, non è possibile. Intervistato da Business of Fashion nel 2015, Giorgio Armani ha risposto così:
Le soluzioni del dopo Armani sono due o tre. Un accordo con un grande gruppo, che escluderei, un entrata in borsa con l’inserimento di un Consiglio d’Amministrazione. Sono tutte possibilità. Io penso che fra qualche anno, forse fra dieci anni se ne riparlerà ancora un po’.
Inside Giorgio Armani’s Fashion Legacy | The Business of Fashion, 2015