Il futuro nelle mani

La moda non è tutta uguale.
Il progresso scientifico e tecnologico negli ultimi anni ha letteralmente rivoluzionato il nostro modo di percepire il mondo e, anche la moda, non è esente da questo processo.
Sin da quando esistono il prêt-à-porter, l’activewear e lo sportswear, il settore dell’abbigliamento si è sempre prodigato nella ricerca di nuovi tessuti o nuove tecnologie che fossero in grado di fornire una certa comodità o che fossero funzionali nel contenere i prezzi per l’acquisto della materia prima.

Negli ultimi anni, inoltre, il diffondersi di un modello industriale etico e environmentally-conscious ha fatto in modo che i fashion-brands adottassero un sistema produttivo fur-free o, addirittura leather-free concentrandosi sullo studio di nuove tecnologie che permettessero di riprodurre materiali di origine animale con tessuti sintetici. Anche colossi della moda, come Armani, Gucci, Burberry, Prada hanno ormai adottato una filosofia cruelty-free, in tema di materiali naturali.

Però… c’è un però! È immaginabile un futuro totalmente animal-free? Può Hermés cominciare a produrre preziosissime Birkin rinunciando alla morbida nappa di vitello? Possono gli artigiani di Bottega Veneta intrecciare una Cabat utilizzando materiali composti da fibre sintetiche? È possibile, secondo voi, concepire una Chanel 2.55 con un profumo che, più di una borsa, ricorda l’odore di una petroliera? Forse la risposta è no. O meglio, speriamo di no! No perché il settore della pelletteria è qualcosa di profondamente legato al territorio italiano che, nel corso degli anni, si è sviluppato e settorializzato fino ad ottenere una perizia tecnica senza eguali. Le mani degli artigiani, insostituibili da qualsiasi macchina e da qualsiasi logica di produttività industriale hanno prodotto un immaginario collettivo che lega alcuni brand in maniera indissolubile con l’artigianato e con un saper fare senza tempo.
Hermés Birkin; via hermes.com Chanel 2.55; via womoms.com

Quindi cosa è giusto? Animal-free e salviamo le foche, o fine-leather e preserviamo un lavoro antico e inestimabile? Io, personalmente, amo sia le foche, sia gli accessori in pelle quindi, sinceramente, non mi sono ancora dato una risposta.
L’unica cosa certa è che ad oggi, 2020, le aziende di moda stanno sperimentando numerose tecniche comunicative per raccontare le proprie storie e i propri prodotti. E forse ci sono due principali scenari che dominano la scena in questo momento. Noi di Wordrobe ve li vogliamo raccontare così:
Deserto di Abiquiu, New Mexico. Un uomo arriva a bordo di un imponente pick-up. Comincia a correre, una musica epica incalza. Siamo nella stagione dei monsoni e una pioggia torrenziale comincia a battere. L’uomo corre e lo scenario desertico assume sembianze sempre più apocalittiche. Le scarpe di goretex e il giubbotto idrorepellente gli consentono una resa massima in qualsiasi condizione atmosferica. Torna al pick-up: è infangato, stremato, ma fiero.
Un altro uomo, indossando un abito molto elegante entra in una stanza illuminata da una luce tenue. C’è silenzio. La zona è popolata da lunghi microfoni dorati che lambiscono preziosi accessori in pelle. L’uomo solleva una bacchetta da direttore d’orchestra. Buio.
Le due scene mostrano commercial di due aziende di abbigliamento molto diverse tra loro. La prima è Under Armour, casa di sportswear che produce capi realizzati con materiali tecnici che aiutano a migliorare le performance sportive. La seconda è Bottega Veneta, fashion house italiana specializzata in articoli di pelletteria, realizzati artigianalmente. Le strategie comunicative per i due brand risultano particolarmente distanti: nel primo caso il brand punta a esaltare la funzionalità e il livello tecnologico dei capi. Nel secondo, invece, l’attenzione è posta sul valore e sull’esclusività dell’oggetto, talmente prezioso da meritare un palcoscenico. La pelletteria, infatti, a differenza dello sportswear, non ha una funzionalità specifica. È importante, dunque, chiedersi: in un’epoca in cui l’eco-pelle regna sovrana, le pellicce sintetiche hanno quasi sostituito quelle naturali e in cui la ricerca tecnologica ha spinto i designer a comporre capi d’abbigliamento estremamente creativi e di alta qualità con materiali riciclati o plastici, come è possibile che un brand che concentra la sua produzione sul fine-leather, sulla piuma o sulla lana continui a comunicare in maniera efficace?
A questa domanda aveva risposto l’imprenditore italiano Brunello Cucinelli in un’intervista rilasciata a Stefania Giannini per Report il 02 novembre 2014. Egli afferma: “Se noi vogliamo sostenere certi manufatti, se non abbiamo mani sapienti, come facciamo?”. La risposta di Cucinelli, dunque, è questa: se si desidera che il proprio marchio continui a produrre capi particolarmente preziosi da un punto di vista manifatturiero bisogna puntare, più che sulla seduzione del marketing, sulla qualità del prodotto e, soprattutto, sulla qualità di chi quel prodotto lo crea. Bisogna puntare sulle «mani sapienti» di chi svolge un lavoro antico. Anche dal punto di vista comunicativo, moltissime aziende del settore del lusso che realizzano i loro prodotti con tessuti naturali concentrano lo storytelling dell’azienda sul lavoro manuale degli artigiani. È una tendenza nuova, nella quale l’ultimo passo del processo creativo, la pubblicità, si fonde con il primo, la creazione.

Uno studio condotto nel 2015 da Teads Lab, chiamato Once upon a Time, Storytelling Luxury Brands in the Video Age, ha messo in luce il fatto che uno dei principali trend che la comunicazione pubblicitaria del settore del lusso sta adottando è proprio quello di esaltare il lavoro degli artigiani. Questo serve per sottolineare l’alta qualità del prodotto e il legame del brand con la tradizione manifatturiera. Questo studio, infatti, analizzando 2689 video di 46 brand del lusso ha rilevato che i clienti di questi marchi desiderino conoscere la storia del brand, così come la storia del prodotto che acquistano. Capi preziosi, infatti, ottengono valore anche in virtù dell’eredità storica e della perizia tecnica che il marchio garantisce.
Gli esempi sono numerosi. Louis Vuitton ha creato una campagna pubblicitaria per la sua linea di accessori realizzati per la collezione autunno/inverno 2009-10, destinata a mettere in risalto il lavoro artigiano con il quale quegli articoli erano realizzati. Le foto, scattate da Desirée Dolron, utilizzano uno sfondo nero associato a una luce che ricorda molto le opere del Caravaggio. Quest’idea risulta molto efficace, volendo mostrare l’artisticità e il retaggio storico della maison.
Un altro esempio esplicativo di questa tendenza è la campagna pubblicitaria Hand of the Artisan realizzata nel 2016 da Bottega Veneta. La campagna è composta da sette video della durata di circa due minuti l’uno: i video, in entrata, mostrano il setting, ovvero il paesaggio verde del vicentino, dove ha sede il settore produttivo dell’azienda. All’opera, per primi, ci sono i designer che stendono i loro schizzi su ampi fogli bianchi. In seguito gli artigiani cominciano a lavorare la pelle, dalla stesura del rotolo fino alla realizzazione del prodotto nei più piccoli dettagli.
Non sono, tuttavia, solo le campagne pubblicitarie a comunicare l’artigianalità del prodotto: anche il visual merchandising, spesso, si concentra su questo aspetto.
Il display vetrinistico di Dolce & Gabbana realizzato per la boutique di via Montenapoleone per il Natale 2016, ad esempio, ha proprio questo scopo; un enorme puntaspilli occupa quasi la metà della vetrina. Sulla base, numerosi bottoni riempiono lo spazio, mentre un grande ditale costituisce il supporto per una borsa.

Un elemento interessante di questa scelta, risiede nel fatto che l’impronta di forte tradizione sartoriale che la maison ha voluto dare alla comunicazione visiva, risulti particolarmente contrapposto con l’alta tecnologia con la quale il punto vendita è stato realizzato. Questo store, aperto a settembre 2016, dispone di elementi meccanici in grado di far cambiare aspetto agli ambienti interni, e di un sistema di illuminazione eco-friendly in grado di modificare l’intensità dei fari in base alla luce naturale che filtra dall’esterno.
Allo stesso modo, numerosi brand di abbigliamento molto legati all’artigianalità delle loro produzioni, uniscono questa forte componente heritage con una spiccata attenzione alla tecnologia, perlopiù volta al rispetto della natura. Il già citato Bottega Veneta, ad esempio, ha vinto, nel 2014 la certificazione LEED Platinum (Leadership in Energy and Environmental Design) da parte del Green Building Council. Il premio è stato vinto per il lavoro svolto presso l’headquarter dell’azienda, sito nel palazzo ottocentesco “Villa Schroeder da Porto”, a Montebello Vicentino. La ristrutturazione (realizzata per il 75% con materiali riciclati) è stata pensata nel rispetto delle strutture preesistenti e dell’ambiente circostante: le grandi finestre, i pannelli solari, il parcheggio biciclette e la tenuta di circa 592.000 metri quadri rendono la suggestiva villa un grande esempio di palazzo storico reso completamente in sintonia con la natura. A questo proposito l’allora amministratore delegato, Marco Bizzarri, ha dichiarato: «è stato un evento significativo, ma credo davvero in queste cose. Il mondo del lusso sta cambiando e le compagnie che seguono uno sviluppo sostenibile saranno più competitive in futuro».

Un ulteriore esempio è costituito da un altro marchio italiano del quale si è già accennato: Brunello Cucinelli. Nel 2012 l’imprenditore umbro, in occasione di un incontro con l’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha dichiarato: “Quella dell’ecosostenibilità non è solo una strada obbligata per la produzione di oggi, italiana e internazionale, ma costituisce anche una precisa scelta morale. Kant invitava a considerare l’altro mai solo come mezzo, bensì anche e prima di tutto come fine: lo stesso credo valga per l’ambiente, che merita tutta la nostra attenzione per essere tutelato al meglio e in ogni suo elemento”. (fashionmagazine.it)
Una delle idee di futuro verso le quali ci si sta muovendo, dunque, è quella di un futuro bucolico, in cui le aziende immergono i loro headquarters nella natura e nel quale il lavoro artigiano sia valutato e premiato. Sebbene, dunque, i materiali high-tech stiano portando la moda nel futuro, devono comunque adattarsi al sistema dell’abbigliamento tradizionale.
Anche marchi estremamente innovativi come Tangible Media Group, che ha recentemente creato BioLogic, un tessuto in grado di traspirare autonomamente, grazie alla presenza di speciali batteri all’interno delle fibre, utilizza un metodo comunicativo legato a un linguaggio tradizionale. Il capo realizzato con questa tecnica, nel momento in cui il corpo si riscalda, attiva dei microorganismi che letteralmente “aprono” il capo per permettere la traspirazione del corpo nelle zone interessate. Per comunicare questa tecnologia innovativa il marchio ha deciso di unire il racconto della funzionalità del capo con il racconto del processo produttivo che ne ha portato la realizzazione effettiva. Anche in questo caso, dunque, la comunicazione va a lambire il primo punto del processo produttivo: la creazione.
In conclusione, dunque, è importante sottolineare che questa tendenza è, ad oggi, molto presente e non tocca solo gli ambiti in cui il prodotto finale non ha specifiche funzionalità. Il consumatore continua a essere interessato all’artigianalità dei prodotti e a come vengono realizzati e vuole possedere il maggior numero di informazioni sulla storia del capo e del brand. Questa strategia comunicativa, dunque, è il passato, il presente, ma, soprattutto, il futuro di molte maison che producono capi forti di una valenza storica e manifatturiera. Il successo di un marchio, inoltre, non si basa solo sulla tecnologia e funzionalità dei prodotti, ma soprattutto sul valore emozionale che viene caricato sull’azienda stessa e sui capi che il genio creativo dei loro designer e dei loro artigiani hanno portato.