La Storia di Yves Saint-Laurent

Tra arte e femminilità rivoluzionaria
Si può parlare di moda senza parlare di Parigi? Si può guardare attraverso la storia del costume senza parlare di tutto ciò che i couturier francesi hanno fatto per il concetto di uguaglianza di genere e di libertà sessuale? Se siete tra quelli che non perdonano i cugini d’oltralpe per averci sottratto la Gioconda… mi spiace per voi ma la risposta è no, assolutamente no.
Questo capitolo parla di un uomo, forse il primo dopo Coco Chanel, che riuscì a stabilire un nuovo turning point nel concetto di parificazione di genere e che fu in grado di plasmare il sistema moda verso il percepito che oggi abbiamo.
Stiamo parlando di Yves Saint-Laurent.

Yves Henri Donat Mathieu Saint-Laurent nasce nel 1936 a Orano in Algeria in una famiglia della classe media molto agiata. L’infanzia trascorre in maniera serena per il piccolo Yves il quale, viziato da una situazione economica di benessere e riempito di attenzione soprattutto dalla madre, riesce a dedicare la maggior parte del suo tempo all’esercizio della creatività, che trova sempre il favore e l’incoraggiamento del suo ambiente famigliare. I primi bozzetti erano perlopiù ispirati agli abiti della madre, una donna elegantissima, molto inserita nella mondanità dell’epoca
Si racconta, inoltre, che negli anni dell’infanzia si dilettasse a costruire teatrini di carta con bambole di carta da lui vestite, allestendo vere e proprie piéce teatrali con le sorelle.

Spinto dai genitori, a soli 17 anni si reca a Parigi per partecipare a un concorso indetto dal Segretariato Internazionale della Lana. È uno dei contest più importanti dell’epoca e il giovane Yves si presenta con tre bozzetti. Di questi uno, raffigurante un lungo vestito asimmetrico, si aggiudica il primo premio nella categoria abiti. Curiosamente a quell’edizione partecipa anche un giovanissimo Karl Lagerfeld che, dopo aver vinto la categoria soprabiti, verrà notato e assunto da Pierre Balmain,
Subito dopo questo primo successo è ancora una volta la madre a indirizzarlo verso la giusta direzione. Riesce, infatti, a combinargli un incontro con Michel de Brunhoff, l’allora caporedattore di Vogue Paris, il quale, colpito dalla traboccante creatività del giovane stilista, decide di raccomandarlo presso una delle maison più in voga del momento: Christian Dior.

Gli anni in Dior

Il feeling tra Saint-Laurent e Christian Dior è immediato e molto forte. Dior lo identifica come il suo erede naturale in quanto, senza nessun genere di influenza dimostra un gusto e uno stile di disegno molto simile al suo.
Dopo un inizio graduale, più come designer d’interni che come stilista, Yves inizia lavorare alla realizzazione dei primi bozzetti, occupandosi degli accessori. A quel tempo gli accessori, a differenza di oggi, erano un elemento molto marginale delle collezioni di moda e servivano solamente come contorno dell’abito. Il giovane stilista comincia così ad ottenere fiducia e ad assorbire lo stile Dior, accrescendo il proprio. Passo dopo passo il suo contributo alle collezioni è sempre più influente fino ad arrivare alla primavera/estate del 1957. In questa occasione monsieur Dior comunica alla stampa che la maggior parte dei pezzi erano stati realizzati dal suo talentuosissimo assistente. il mondo della moda comincia ad accorgersi di lui.

Del lavoro di Yves presso la maison parigina non rimane impressa solo l’attività di designer, ma anche quella di direttore creativo. Il suo lavoro getterà le basi per la moderna idea di comunicazione come elemento fondamentale per la diffusione di un sistema di valori proprio di ogni brand.
Nel 1955 è emblematico, in questo senso, il servizio fotografico Dovima with elephants, scattato da Richard Avedon. Queste immagini fanno la storia. Viene mostrato un vestito di uno stilista famoso, indossato da una modella famosa, inserita in un contesto fantastico e quasi onirico. Ciò porta, per la prima volta, la comunicazione di moda verso un’idea di modello aspirazionale: il fatto di vedere quella donna bellissima e famosissima, in un vestito da sogno e in un set del genere porta chi guarda ad aspirare a quel mondo e quindi a possedere l’unica cosa che è consentito avere: il vestito. Questo servizio getta le basi a una tipologia di comunicazione che è sopravvissuta per tutto il secolo scorso, evolvendosi e modificandosi a seconda dei codici dei brand che ciclicamente l’hanno utilizzato.

Nel 1957 Christian Dior muore di infarto mentre si trova in vacanza a Montecatini e il nostro protagonista, nonostante i suoi 21 anni, viene nominato direttore creativo della maison.
Nel 1958 Yves Saint-Laurent presenta la sua prima collezione, interamente disegnata da lui. Presso la stampa, il successo è enorme. I magazine dell’epoca inneggiano al giovane stilista che «ha salvato Dior e la Francia» attraverso una linea molto diversa dai disegni del “maestro” ma, tuttavia, non contraddittoria. La linea Trapéze con le sue forme a sacco strette al collo e larghe lungo il corpo espandeva notevolmente il bacino di utenza, perché era pensata per qualsiasi donna: un capo comodo, che spostava il focus dal punto vita e dal seno verso le gambe, in un processo di esaltazione della figura femminile in un senso più ampio. Gli abiti erano scuri, sui toni dell’antracite e del nero, quasi a portare alla mente i colori maschili, riprendendo l’amore di Dior nei confronti della sperimentazione tra tessuti e generi.
Le clienti lo adorano: è nuovo, giovanile ma chic, è comodo e soprattutto dopo dieci anni di New Look è qualcosa di diverso.
Con il passare del tempo il giovane Yves, forse assecondando troppo la sua fiducia in sé stesso e l’indiscutibile successo commerciale delle sue creazioni, inizia ad osare molto, discostandosi progressivamente dallo stile Dior: questo non piace affatto alla dirigenza della maison che teme molto che il brand possa discostarsi troppo dal suo DNA.
A questo proposito, la goccia che fa traboccare il vaso è la collezione Beat, presentata nel 1960. La linea è ispirata alla Beat Noir della rive gauche, un movimento di giovani teppisti e microcriminali fortemente riconoscibili da loro abbigliamento. Saint-Laurent si lascia ispirare da questo stile e lo reinterpreta. Così facendo, lo stilista eleva per la prima volta nella storia della moda, un trend di strada a haute couture in un innovativo processo bubble-up.
Queste due collezioni fanno capire come le sue creazioni fossero un sorta di traduzione ribelle dello stile subculturale nel linguaggio dell’alta moda: in parole povere… vestiva i clienti con gli abiti di chi li avrebbe rapinati volentieri! Lui ha inventato, grazie a questa collezione, un primo embrionale approccio al concetto di street-chic, al concetto di prêt-à-porter. In questa collezione spiccava il nero, i pantaloni a zampa di elefante, i giubbotti di pelle, i dolcevita e altri capi di uso comune. Il successo, in termini di vendita è assolutamente stratosferico: era comoda, moderna, elegante e poi… era Dior!
via museeyslparis.com
Nonostante il grande consenso, l’establishment della maison soffre molto la presenza di Saint-Laurent e la sua creatività troppo dilagante e anarchica.
Erano gli anni della guerra d’indipendenza algerina e la chiamata costringe Yves ad abbandonare la Francia per unirsi all’esercito. Un elemento sicuramente controverso è il fatto che, qualora la Christian Dior avesse stabilito che Saint-Laurent fosse stato indispensabile per l’azienda, avrebbe potuto evitare la chiamata.
Questo periodo è davvero critico per la vita del nostro protagonista che, recatosi in Algeria, resiste solamente venti giorni al fronte. Rimedia, infatti, un esaurimento nervoso e viene ricoverato all’interno dell’ospedale militare Val-de-Grace.
La Christian Dior, a causa del congedo e dei problemi psichici, licenzia il direttore creativo.
La nascita della maison Yves Saint Laurent
Yves Saint-Laurent è così malato, solo, disoccupato e sottoposto a una terapia farmacologica molto invasiva. In questo contesto limite entra in scena la figura più importante nella storia personale e professionale dello stilista: Pierre Bergé.

I due si conoscono nel 1958 in occasione della prima sfilata di Dior sotto la guida Saint-Laurent. I due mantengono un professionale rapporto di amicizia che rimane tale fino a quando, in occasione di un viaggio presso la villa dell’allora compagno di Bergé, i due cominciano un rapporto sentimentale.
L’amore «indissolubile e di reciproca dipendenza» (Vanity Fair, 2014) tra lo stilista e Bergé dura tutta la vita ed è ciò che permise la nascita di una delle aziende di moda più importanti al mondo. All’interno del libro lettere a Yves Saint Laurent, edito da Archinto e pubblicato nel 2012, questo rapporto, molto tormentato, fisico e cerebrale viene perfettamente esplicitato per voce dello stesso Bergé:
Salisburgo, 6 aprile 2009
Da tre giorni a Salisburgo. Salisburgo che amavi tanto. Sto male, a letto, con la solita rinite allergica che conosci bene. Sono imbottito di tutto il cortisone della città. Ho perso Sigfrido, bellissimo a quel che si dice. Stasera cercherò di trascinarmi a un concerto. Ricordi la nostra prima volta a Salisburgo? Trovatore con Leontyne Price e Karajan. Eravamo impazziti, tu e io. Che ricordo! Uno dei più belli. Siamo ritornati tante volte! Avevamo portato con noi C. che si è fatta mandare un telegramma per poter rientrare d’urgenza a Parigi perché non amava la musica e la contessa Walderdorf, proprietaria dell’albergo, l’aveva pregata di uscire a mangiare il gelato comprato per strada: non voleva che le sporcasse il pavimento. Di quella lì, mi avevi detto, non ci si deve fidare. Avevi ragione. È in questa città che hai tratto ispirazione dalle scarpe austriache con le fibbie. Le tue furono realizzate da Roger Vivier che se ne appropriò la paternità. Certo ricordi, e a ragione, quel negozio di biancheria intima che ti affascinava. Salisburgo è legata a tanti ricordi. Alla musica, innanzitutto – siamo stati membri fondatori del festival Wagner di Pasqua – ma anche agli amici di laggiù, ai pranzi in riva ai laghi, alla trota al blu, al Tafelspitz, ai castelli di Ludwig II e naturalmente al sesso.
Durante il ricovero i due prendono una decisione importante: dare vita a una casa di moda, per permettere allo stilista di esprimere la propria creatività senza costrizioni e senza l’obbligo di dover seguire una filosofia diversa dalla sua.
Prima, però, fanno causa alla Christian Dior e, dopo un’accesa battaglia legale, riescono ad ottenere un lauto risarcimento necessario ad aprire una società.
È il 1962. Nasce la maison Yves Saint Laurent

La più bella collezione dai tempi di Chanel
Life, 9 aprile 1962
Parigi incorona il delfino di Dior, e un rametto di gigli della vale gli ha portato fortuna.
Jour de France, 1962
Ci aspettavamo la collezione del ragazzo del futuro, ma ne abbiamo vista una di un maestro del presente.
Elle France 1962
Yves: Fashion’s Third Force
Women’s Wear Daily, 1962
Queste solo alcune delle recensioni entusiaste della collezione d’esordio; una linea sobria, per assurdo più sobria delle ultime per Dior. Era una summa di quello che aveva imparato in termini di struttura, unito a un tocco di libertà bon ton puramente Chanel e disegnato nella maniera più inaspettata possibile per l’epoca, come solo Yves Saint-Laurent sapeva fare. E come se non bastasse, nel corso di questa sfilata, in collezione viene inserito un cappotto che rimarrà nella storia della moda e che si diffonderà rapidamente nelle linee di tutti gli stilisti del mondo: il pea coat.
First pea coat
Il mondo della moda è ormai innamorato di questo giovane talento che è riuscito a superare la prova con la “p” maiuscola, quella della prima collezione, senza il nome di una grande maison alle spalle.
Durante gli anni successivi il nome della maison riesce a consolidarsi in maniera consistente, anche grazie a una buona continuità e coerenza nelle collezioni e a progetti speciali come la realizzazione dei costumi per il film The Pink Panther.
È, tuttavia, il 1965, più precisamente l’autunno/inverno 1965-66, l’anno in cui lo stilista crea la collezione che lo consacrerà definitivamente nell’Olimpo della moda internazionale. Questa collezione renderà Yves Saint Laurent un marchio amato, riconosciuto e iconico.
È, ovviamente, la collezione Mondrian.
Yves Saint-Laurent e l’arte

L’A/I 65-66 viene ricordato come “collezione Mondrian”, in maniera erronea, in quanto il defilé viene scandito anche da abiti ispirati a Malievich o Poliakoff. È una celebrazione dell’arte contemporanea, o meglio, uno studio dei colori e delle forme utilizzate nel neoplasticismo e tradotte in abiti. La linea consiste in sei minidress e abiti da cocktail realizzati in lana pre-tinta e cucita accostando le diverse tonalità. La linea ad A della gonna e la struttura dell’abito sono il risultato della cooperazione tra il peso specifico del tessuto e una perizia di lavorazione tale da garantire una caduta a piombo perfetta.
Il successo di questa collezione è strepitoso.
Tutti i giornali del settore ne parlano e celebrano il lavoro del giovane designer. Gli abiti De Stijl, piacciono talmente tanto che, per la prima volta nella storia della moda, subiscono un processo di trickle-down fino a quel momento inedito: vengono copiati, in maniera virale, da chiunque.
Quest’esperienza sicuramente virtuosa ha fatto in modo che lo stilista, negli anni, sia tornato a più riprese a parlare di arte. Già l’autunno/inverno successivo viene presentata una collezione intenta a celebrare la pop-art, nella quale pesanti abiti in jersey di lana strizzano l’occhio all’opera pittorica di Tom Wesselmann, tra ironia, sensualità e tanto, tanto colore.

Nel 1979, invece, gli abiti dell’enfant prodige franco-algerino si tingono come i quadri di Picasso e, come tele in movimento, diventano elogio e plauso al cubismo e al suo maggiore esponente. Così le forme parisienne e le ampie gonne in raso, attuano un gioco di linguaggi con il mondo dell’arte, celebrandola e rubandone la natura di per sé stessa colorata. Questo esperimento verrà ripetuto nel 1988 quando cappe asimmetriche e giacche costruite tornano a prendere in prestito l’opera pittorica dello spagnolo.
Yves Saint Laurent – 1979 Yves Saint Laurent 1988
Tra le due linee dedicate a Picasso, l’haute couture autunno/inverno 1981-1982 si ispira ancora all’arte e, anche questa volta, in maniera consapevole. Vengono scelti, infatti, i quadri di Matisse un amico-nemico di Picasso come a voler segnare un atto di continuità e, al tempo stesso, di approfondimento del tema. Se, inoltre, si pensa ai fauves e il loro apporto dirompente e avanguardistico sull’arte e sul gusto estetico dei primi del Novecento, la dichiarazione di poetica del nostro protagonista diventa piuttosto chiara.
Altre celebri creazioni il souper dress del 1966 ispirato alle Campbell’s Soup Cans di Andy Warhol, le bluse dedicate a Van Gogh e a Monet e gli abiti ispirati all’opera di Braque.
Andy Warhol inspired Van Gogh inspired Braque Inspired
Yves Saint Laurent: femminismo e femminilità ribelle
Saint-Laurent non viene, tuttavia, semplicemente ricordato per la grande opera di rivisitazione artistica all’interno dei suoi abiti. Uno dei maggiori meriti dello stilista è, senza dubbio il fatto di aver affrancato il concetto di parità di genere al mondo della moda.
È l’autunno-inverno 1966 quando in passerella sfila una modella vestita in smoking, tra lo sconcerto del pubblico presente. Questa collezione è antesignana di una libertà di genere che, fino a quel momento, era solo teorica, spontanea e mai accettata dal fashion system che vedeva la donna come incorporata in una cornice precisa e definita di bon-ton. Nel dopoguerra lo stile più diffuso era il new look, uno stile che suggeriva alla donna come doveva vestirsi e che forme dovesse avere per essere considerata bella. Saint-Laurent rifiuta questo concetto e rivisita lo stile maschile in chiave femminile e, come per elevare la sua clientela a un’immagine di forza non solo estetica, crea questo semplice capo che diventerà negli anni una delle icone più riconoscibili del marchio. Anni dopo lo stilista affermerà che l’ispirazione per questa creazione gli arrivò da Marlene Dietrich, la prima donna ad indossare un tuxedo nel film “Morocco”.
smoking Yves Saint Laurent Marlene Dietrich in “Morocco” Smoking Yves Saint Laurent
A dire il vero, già dagli anni Venti le donne indossavano i pantaloni, un costume molto comune tra le lavoratrici delle fabbriche. Era però qualcosa che non aveva mai ricevuto il favore dell’alta moda. Il grande merito di Yves Saint-Laurent è quello di aver preso spunto da una tendenza dettata da un bisogno di comodità pratico, in un reciproco gioco di influenze tra alto e basso, tra sacro e profano, portando in passerella una necessità di allora: sentirsi al pari dell’uomo, sentirsi libera, sentirsi forte.
Siamo vicini al ’68 e la donna poteva puntare all’emancipazione, ad avere una carriera lavorativa e non doveva più affidarsi alle tradizionali regole della femminilità per apparire femminile. Saint-Laurent lo capisce e diventa, così, quasi un punto di riferimento per questa tendenza.
Al di là dello smoking, negli anni a seguire i pantaloni entreranno di diritto nelle collezioni della maison e, rapidamente, influenzeranno tutto il fashion system dell’epoca.
Questa è la femminilità per Yves Saint-Laurent: sempre chic, bon ton, ma ribelle, comoda e progressista, in grado di andare ben oltre i limiti stabiliti dal buon gusto, andando addirittura a reimpostare nuove regole.
Nuove regole definitivamente ridefinite nella P/E del ’68 quando, in piena rivoluzione sessuale, il nostro protagonista decide di vestire una sua modella con un cigaline trasparente, e niente più. La donna per la prima volta in passerella mostra il seno, portando la dignità del corpo femminile al pari di quello maschile. Una donna quanto mai contemporanea che è davvero libera e può mostrare i capezzoli e le nudità non per generare scandalo e sdegno ma per affermare la propria libertà e la fiducia in sé stesse.

Curiosità: Lui ha inventato i pantaloni a palazzo. Stretti in vita e larghi in fondo, Saint-Laurent riteneva che fosse la silhouette perfetta per mettere in risalto le gambe femminili e per allungarne la figura. La collezione è la P/E ’67.

Saint-Laurent Rive Gauche: l’invenzione del prêt-à-porter

Nonostante il primo ad aver portato in passerella collezioni prêt-à-porter sia stato Givenchy, il grande merito di Saint-Laurent è stato quello di renderlo effettivo, differenziando per la prima volta due linee, due collezioni e due sistemi di gusto quasi contrastanti, facendoli convivere sotto lo stesso nome. È stato lui il primo ad aprire addirittura una boutique dedicata esclusivamente alla linea prêt-à-porter. Si tratta di Saint Laurent rive gauche. Il nome, “riva sinistra” in francese, indica la zona di Parigi a sinistra della Senna che, negli anni Sessanta era considerata molto alla moda e melting-pot di stili spontanei molto vari, luogo di artisti e scrittori, legata al movimento beat e al movimento esistenzialista. La linea rive gauche si ispira a tutto questo declinandolo in chiave più lussuosa e raffinata. L’opposto è la rive droit, all’epoca considerata molto aristocratica e tempio dell’ancient regìme del bon ton parigino.
Il successo commerciale della boutique è straordinario. Tutti gli stilisti dell’epoca si rendono conto che il prêt-à-porter è il futuro. Saint Laurent rive gauche è stato il punto di partenza per il proliferarsi delle seconde linee nei brand di tutto il mondo. Oggi si tende a non differenziare più le linee in maniera così netta ma, fino a una manciata di anni fa era un elemento imprescindibile presso quasi tutte le maggiori fashion house – es. Burberry London, Brit e Prorsum; Armani Collezioni, Jeans, Exchange etc.-.
All’apertura della boutique Saint-Laurent rive gauche, lo stilista affermerà:
Ne ho abbastanza di vestire vecchie miliardarie; la donna Saint-Laurent viene degli harem, dai castelli, dalle periferie. È per strada, in metropolitana, negli empori negli uffici della borsa.
Marguerite Duras, “Le Bruit et le Silence”

Curiosità: lo studio dei trend popolari e la vasta conoscenza dei costumi del secolo porta Yves a concepire alcuni capi d’abbigliamento che, nel corso degli anni, sono diventati imprescindibili in qualsiasi guardaroba. Oltre al già citato pea coat, lo stilista introduce nell’Autunno/Inverno 1968-69 la prima sahariana e la prima tuta.
prima sahariana pima tuta
Yves Saint Laurent, ovvero contaminazione culturale
Il fatto che Yves Saint-Laurent fosse nato e cresciuto in Nordafrica faceva in modo che la sua sensibilità fosse notevolmente attratta dallo studio di altre culture che, con lui, hanno trovato spazio all’interno del rigido mondo della moda europea.
Il legame con l’Africa del Nord si rafforza ulteriormente quando nel 1966 intraprende un viaggio in Marocco con Pierre Bergé. Rimasti affascinati dal Paese decidono di acquistare una piccola casa nella Medina, Dar el-Hanch, la casa del Serpente. Da questo momento in poi il nostro protagonista ci tornerà molto spesso per disegnare le collezioni. Qui Saint-Laurent sviluppa, come lui ha più volte affermato, una particolare attenzione nei confronti del colore.
“In ogni strada di Marrakesh, è possibili incontrare gruppi sorprendentemente vividi di uomini e donne vestiti con caftani di colori sgargianti tra il rosa, il blu, il verde e il viola. È incredibile realizzare che questi gruppi di persone, che sembrano disegni o dipinti e che evocano gli schizzi di Delacroix siano davvero lì. Vivi di fronte a te.”
Laurence Benaïm, Yves Saint Laurent
Nel 1980 la coppia decide di acquistare Villa Oasis, all’interno dei giardini Majorelle, un complesso di 8000mq, decorata in stile berbero, oggi casa museo.

Grazie a questa propensione Yves Saint-Laurent è uno dei primi stilisti al mondo a parlare di Africa. Durante la Spring-Summer 1967, la prima concepita e disegnata in Marocco, presenta la celebre collezione Bambara, ispirata dalle omonime statue maliane. Si tratta di minidress con motivi geometrici arricchiti da elementi in legno e accompagnati da importanti cappe in rafia e monili in ebano. La sfilata svolta a Parigi entrerà nella storia in quanto, per la prima volta, in passerella sfilano modelle di colore, quasi per dar valore alla collezione in una dimensione di tributo e mai di appropriazione culturale.
Dieci anni dopo la Bambara, Saint-Laurent torna a viaggiare con l’ispirazione. In questo caso non si sposta molti kilometri da Parigi. Decide, infatti di presentare una collezione ispirata alla Spagna. La primavera/estate 1977 è una rivisitazione molto personale dello stilista al mondo iberico. Pensando all’abito tradizionale del flamenco, Saint-Laurent sviluppa una combinazione sartoriale tra ampie gonne gypsy e moderni corsetti in velluto.
Photo by: NBCU Photo Bank – Getty Images Photo by: NBCU Photo Bank – Getty Images Photo by: NBCU Photo Bank – Getty Images
Sempre lo stesso anno il couturier fa conoscere al suo Autunno-Inverno il mondo dell’estremo oriente. In concomitanza con il lancio della fragranza Opium, in passerella viene mostrata “Les Chinoises” dove il folklore, i colori, le forme e i materiali della millenaria tradizione tessile cinese si traducono in abiti diventati iconici nella storia della maison.
(Photo by GYSEMBERGH Benoit/Paris Match via Getty Images)
Saint Laurent dopo Saint-Laurent, gli ultimi anni
A cavallo tra anni Ottanta e Novanta le collezioni si normalizzano molto e il designer, ormai dichiaratamente stanco, sopraffatto da dei ritmi disumani e vessato da una brutta dipendenza da farmaci e da uno stile di vita dissipato, abbandona gradualmente l’istinto rivoluzionario degli inizi e quel desiderio di cambiare la moda che lo aveva sempre caratterizzato. In un certo senso la sua vena creativa si affievolisce man mano che assume consapevolezza di essere riuscito, nella sua artisticità esplosiva, a cambiare davvero le cose.
Ad ogni modo questi anni servono alla maison come periodo di stabilizzazione della sua azienda come colosso della moda, grazie alla sempre accurata gestione da parte di Pierre Bergé, che apre la linea uomo e circonda il suo compagno di un team creativo molto competente.
La fragilità fisica, emotiva e psichica dello stilista non lo abbandoneranno più e, con il nuovo millennio è evidente all’establishment della maison che Yves non fosse più in grado di disegnare le collezioni.
È il 2002 e Yves Saint-Laurent lascia Yves Saint Laurent. L’ultima sfilata sotto la sua direzione è iconica. Partecipano tutti e, al termine dello show, appaiono in passerella centinaia di smoking neri indossati da tante icone della moda Saint Laurent, da Catherine Deneuve a Laetitia Casta, per rendere omaggio a un genio della moda che rivoluzionò e rese grande la donna nella sua estetica e nel suo interiore agli occhi del mondo. Un signore della sinestesia capace di far dialogare modalità espressive differenti e contrastanti plasmando una summa di stile e gusto che cambiò il mondo della moda per sempre.

Nel 2008, dopo aver combattuto contro un tumore al cervello, il couturier si spegne all’età di 72 anni.
TOM FORD (1999-2004)

Già nel 1999, prima dell’addio del couturier, il brand viene acquistato dal Gruppo Gucci (ora Kering), che nomina lo statunitense Tom Ford direttore creativo del prêt-à-porter, scalzando senza troppi complimenti il giovane Alber Elbaz, designato da Saint-Laurent stesso come suo successore e mantenendo Yves alla direzione della linea haute couture.
La scelta, anche se piuttosto discussa e violenta, fa entrare prepotentemente il marchio Yves Saint Laurent nel Ventunesimo Secolo. L’impostazione dell’immagine che Ford conferisce al brand francese è glamour e sexy, quasi ai limiti del pornografico. Celebri in questo senso sono le campagne pubblicitarie di Opium nel 2004, in cui la modella Sophie Dahl posa nuda indossando solo un paio di tacchi Saint-Laurent e della fragranza maschile M7 che ritrae un nudo frontale di chiara ispirazione Rive Gauche Parfum.
Il taglio scandalistico della direzione creativa piace eccome e il brand continua a riscuotere successo fino a quando Ford, nel 2004 lascia volontariamente la maison per aprire la propria etichetta.


STEFANO PILATI (2004-2012)

La direzione creativa perfetta in un momento di passaggio.
Pilati raccoglie a due mani l’eredità di Yves Saint-Laurent ripercorrendo il suo lavoro dalle origini. Reinterpreta lo smoking, la sahariana, e gli altri simboli dello storico marchio, accostando il brand alle icone del passato. Suo il merito di aver creato una linea di accessori, in vero stile italiano, ancora presenti nell’immaginario collettivo come elementi imprescindibili dell’estetica Yves Saint Laurent, come la Envelope Bag, o la Cabas Chyc.
Yves Saint Laurent Envelope Bag Yves Sain Laurent Cabas Chyc Bag;
via blog.girlyubble.com
Dopo il 2008 e la morte di Yves, le vendite crollano e il brand entra in una profonda crisi anche a causa della mancanza di novità e di forza creativa che si era evidenziato negli ultimi anni.
Poco tempo dopo Kering decide che è giunta l’ora di una ventata di novità per riqualificare il marchio con la nomina di un nuovo direttore creativo.
HEDI SLIMANE (2012-2016)

Hedi Slimane, ovvero quando Saint Laurent è diventato rock ‘n’ roll. E nota bene: Saint Laurent, NON Yves Saint Laurent. Una delle prime azioni messe in piedi dal marchio è un radicale rebranding che elimina quasi completamente lo storico logo disegnato da Cassandre. L’unico elemento che sopravvive è il logotipo verticale YSL nella linea beauty, fragranze e in alcuni accessori e calzature continuativi. Per la linea moda si sceglie un lettering semplice pulito, senza grazie e, soprattutto, senza “Yves”. La rottura con il passato è forte e diventa ancora più chiara quando, dopo lo spostamento dello studio creativo da Parigi a Los Angeles, viene presentata la prima collezione. La campagna raffigurante il cantante Christopher Owens scattata in bianco e nero molto saturato, presenta uno styling minimal, in netto contrasto con il mondo glamour al quale il brand ci aveva abituati fino a quel momento.

La sfilata è ancora più dissociata rispetto al passato presentando silhouette di forte richiamo al mondo rock anni Settanta. Gettate le basi, Slimane rafforza ulteriormente la propria immagine ridisegnando tutti i flagship store del brand, creando un ambiente fortemente industrial-chic dove il bianco, il nero, il marmo e l’acciaio sono gli elementi preponderanti.

Iconica in questo senso è la campagna Saint Laurent Music Project che coinvolge rockstar del calibro di Marilyn Manson e Courtney Love, che stabiliscono in maniera molto netta l’evolversi dell’estetica grunge che diventa in brevissimo tempo un’estetica molto associabile al nome Saint Laurent.


Lato accessori, Slimane sviluppa quest’estetica adattandola a capi in pelle estremamente semplici e lineari che avranno un successo commerciale davvero strepitoso: nascono la Sac de Jour, la Classic Duffle, e molte altre it-bags del periodo.
Saint Laurent Classic Duffle Saint Laurent Sac de jour
Nel 2015 Kering annuncia un aumento delle vendite che sfiora il 30% rispetto all’anno precedente. Slimane è sulla cresta dell’onda.
Indimenticabile è la sfilata Pre-Fall 2016, tenutasi all’interno della storica sala concerti Hollywood Paladium che vede come ospiti d’eccezione artisti del panorama dello star system mondiale del calibro di Lady Gaga, Lenny Kravitz, Elle Fanning, Alexa Chung e molti, molti altri.
In brevissimo tempo Slimane è riuscito a portare il marchio Saint Laurent dall’aura chic francese a una dimensione iconica e internazionale.
Anche per il designer belga, proprio come successe allo stesso Yves ai tempi di Dior, il travolgente apporto innovativo e il netto taglio con il passato portano Kering a ragionare su una figura differente per la direzione creativa e, nonostante il grande successo delle sue collezioni si opta per un rinnovamento.
Nel 2016 viene nominato Anthony Vaccarello.
ANTHONY VACCARELLO (2016-)

Reduce dall’esperienza in Versus e da un forte sodalizio artistico con Donatella Versace, Vaccarello arriva in piena rivoluzione Slimane e riesce a mettere d’accordo davvero tutti.
Senza dimenticarsi le origini del brand e sostituendosi a mo’ di effetto speciale all’estetica rock del momento, il designer belga propone una rivisitazione dell’archivio della maison in maniera molto velata. Così, nella primavera/estate 2017 il “free nipple” proposto da monsieur Yves nel ‘68 si traduce in miniabiti in pelle che lasciano scoperto un seno per intero, accostando la donna Saint Laurent alla figura mitologica di guerriera amazzone. Non solo: anche il cigaline sessantottino viene riproposto in chiave flat, decorata e anche… maschile!
Viene anche recuperata la “francesità” del brand che in occasione primavera sfila all’ombra della tour Eiffel. È un esplosione di latex, di anni Ottanta e Novanta, che recupera l’anima di couture e la inserisce perfettamente nell’immaginario costruito da Slimane.
