Max Mara Fashion Group: una guida pratica

I Nove Brand che hanno scritto la storia del prêt-à-porter italiano
12 febbraio 1951. Giovanni Battista Giorgini, mecenate dell’artigianato italiano nel mondo, decide di organizzare una sfilata presso la sua dimora fiorentina convincendo i designer dell’epoca a presentare le proprie collezioni in uno show collettivo di fronte all’occhio attento di giornalisti e buyer statunitensi. In passerella si susseguono le creazioni senza tempo delle sorelle Fontana, le opere sartoriali di Vanna e Noberasco, le fantasie optical di un giovanissimo Emilio Pucci, le pellicce di Joele Veneziani. Il pubblico a stelle e strisce ne è ammaliato, tanto che importantissimi departement store come Bergdorf Goodman di New York, Henry Morgan di Montréal e I. Magnin di San Francisco decidono di acquistare moltissimi pezzi di questa sfilata.

È emblematico, a questo proposito, un articolo del Times che identifica la creatività italiana come «cause for worry» per i couturier francesi. La ragione è presto detta: i capi erano intrisi di creatività e innovazione, erano costruiti in maniera perfetta dal punto di vista sartoriale e, soprattutto, costavano la metà rispetto ai corrispettivi d’oltralpe.
12 febbraio 1951. Nasce la moda Italiana.
È significativo pensare che a partire da questa data in poi l’apparato creativo italiano non si sia più fermato, regalando al mondo le creazioni sartoriali senza tempo conosciute anche con il nome di Made in Italy. E c’è un marchio che proprio quell’anno ha i suoi natali. Un marchio che affonda le proprie radici nella pura tradizione sartoriale e che ha sempre avuto come unico obiettivo quello di vestire ogni donna, dalla più giovane alla più anziana, dalla più atletica alla più formosa, senza mai dimenticarsi che ogni donna è tale a qualsiasi età, a qualsiasi peso e, in quanto donna, desiderosa di essere bella, alla moda, chic.
Stiamo parlando di un brand che ha definito la nascita del prêt-à-porter italiano.
Stiamo parlando di Max Mara o meglio, del Max Mara Fashion Group.

Achille Maramotti nasce a Reggio Emilia nel 1927 da una famiglia che, a tutti gli effetti, contiene nel DNA la passione per la moda e per la sartoria. La nonna, Marina Rinaldi era proprietaria di una piccola sartoria nel centro di Reggio e la madre, Giulia Fontanesi era una sarta che, dopo la morte del marito, nel 1939, aveva aperto una scuola di taglio e confezionamento con la quale manteneva Achille e i suoi sei fratelli.

Tra tutti i Maramotti, il nostro protagonista sembra il meno incline a seguire la tradizione di famiglia. Si iscrive, infatti, a giurisprudenza a Roma e, per pagarsi gli studi, apre una piccola attività basata sul commercio di formaggio e burro.
Una volta laureato torna a casa e viene spinto dalla moglie Ida Lombardini a investire sull’arte della sartoria. Nel giro di tre anni, partendo da un paio di locali chiesti in prestito alla madre, avvia una produzione di abbigliamento femminile. Nasce Confezioni Maramotti, un laboratorio di abbigliamento particolarmente apprezzato dalle signore emiliane dell’epoca per diversi motivi. Oltre all’indiscussa eleganza dei modelli d’ispirazione francese e all’estrema perizia sartoriale dell’epoca, i capi proposti avevano un’arma in più: costavano decisamente meno rispetto alla concorrenza. Achille, infatti, decide di unire l’indiscussa perizia tecnica della sua famiglia e le conoscenze sartoriali acquisite nel tempo con un modello produttivo innovativo: impara le tecniche di scomposizione del lavoro tipiche delle industrie di confezioni più moderne con l’obiettivo di mantenere una qualità alta, riducendo tempi e costi. Affidandosi ai migliori periti del mercato, Maramotti riesce a settorializzare e a professionalizzare i ruoli all’interno del laboratorio componendo capi moda dalle proprietà sartoriali a un costo di produzione industriale.
L’apprezzamento presso il pubblico è davvero diffuso.
Forte di questa esperienza, il giovane imprenditore decide di fare un primo salto, trasformando il suo Confezioni Maramotti in un vero e proprio brand. È il 1951 e nasce ufficialmente Max Mara.

MAX MARA
dal 1951
Tradizione sartoriale, heritage, timeless
Il nome, scelto direttamente dal Signor Maramotti, è un composto di “Max” diminutivo di “massimo” superlativo assoluto di un concetto positivo e “Mara” diminutivo del cognome Maramotti. Inoltre, secondo il fondatore, il lettering allitterato avrebbe aiutato il cliente a memorizzare il nome.

Nel 1952 Maramotti decide di ampliare l’attività e compera un garage nel centro storico di Reggio Emilia nel quale lavorano 40 dipendenti. Nel 1953 apre il suo primo store monomarca a Roma e, nel 1955, i dipendenti sono già oltre 60.

È l’autunno/inverno 1957-58, però, che permette a Max Mara di fare capolino nel fashion system: Achille e il suo team creativo decidono di “rubare” un capo dal guardaroba maschile adattandolo a una forma e un gusto femminile: viene scelto il cappotto, un capospalla tipico dell’abbigliamento dell’uomo d’affari. Strutturato, avvolgente e quasi foriero di un’idea di understatement e di eleganza. Nasce così il primo cappotto Max Mara ampio, cocoon, a uovo, impreziosito da importanti colli in pelliccia. È un passo importante per il brand, che tenta per la prima volta un approccio creativo al mercato. Il successo di questa collezione è notevole sia da un punto di vista commerciale, sia comunicativo: il mondo della moda si accorge di questo giovane marchio in espansione, calamita di consenso da parte del pubblico.
Il marchio emiliano comincia a sperimentare nuovi tagli e modelli, declinando i peacoat, i trench e i chesterfield a un gusto chic e bon-ton, esaminandone le forme, le vestibilità e i toni che trovano nel color cammello, una sorta di riconoscibilità, quasi un trademark per il brand.


via maxmarafashiongroup.com
Nel corso degli anni Sessanta Max Mara investe molto nel disegno e nella ricerca stilistica, instituendo il creative studio grazie al quale, ogni anno, vengono sperimentate nuove modalità espressive e declinazioni di quei cappotti sempre più apprezzati e riconoscibili. E tra le sperimentazioni effettuate in quegli anni, quella di maggior successo è la collezione Pop per l’A/I 1965-66, figlia di una ricerca sul colore e di un’idea di personalizzazione del capo senza precedenti.
Lo studio estetico di Max Mara prospera anche grazie alla professionalizzazione di certe figure continuative che, proprio in quegli anni entrano in azienda. È il caso, ad esempio, di Laura Lusuardi, la Fashion Coordinator del Gruppo che gestisce le collezioni da oltre 50 anni. È il 1969 quando, appena 18enne e fresca di scuola superiore, viene assunta imponendosi presto come figura influente all’interno del team. La sua curiosità, l’impegno e l’abnegazione che questa giovane donna dimostra, convincono Maramotti a puntare su di lei, facendole scalare le gerarchie aziendali molto in fretta. La manager sarà determinante nell’espansione creativa dell’azienda. È lei la persona che deciderà, nel corso dei decenni, di affidarsi a numerosi direttori creativi, emergenti e talentuosi, per mantenere le collezioni sempre fresche dinamiche. Così Karl Lagerfeld, Stefano Dolce, Domenico Gabbana, Narciso Rodriguez, Luciano Soprani, Anne-Marie Beretta, Jean-Charles de Castelbajac sono solo alcuni dei talenti che hanno saputo conferire al marchio reggino la propria identità, interpretando i tempi e cambiando il proprio linguaggio sulla base dell’evoluzione del concetto stesso di femminilità. Così, all’alba degli anni Settanta, nel pieno della rivoluzione femminista e dei movimenti per la parità di genere, Castelbajac concepisce una collezione, Colorama, che declina l’overcoat a una palette molto innovativa, come a sottolineare e evidenziare in maniera esplosiva il ruolo che la donna meritava. Contrapposta ai toni del grigio, dell’antracite, del nero degli uomini, MaxMara pone la propria cliente su un piedistallo di colore e personalità.

Cappa Max Mara by Karl Lagerfeld via storiadellaconfezione.it Colorama, via maxmara.com Cappa Max Mara by Karl Lagerfeld via storiadellaconfezione.it
Dopo questa dichiarazione di poetica il marchio continua la propria ricerca stilistica e visiva per conferire alla figura femminile sempre più valore, passando dall’iconica cappa disegnata da Karl Lagerfeld, fino alla creazione, negli anni Ottanta, di uno dei pezzi più famosi e, tutt’ora apprezzati del guardaroba MaxMara. Il cappotto 101801. Anne-Marie Beretta decide di reiventare l’ulster, uno dei capi più rappresentativi del guardaroba dell’uomo d’affari; per un uomo è il grand-coat, pensato per chi ama l’eleganza formale adattata al business. Revers ampi, otto bottoni, doppiopetto, martingala importante, lunghezza sotto il ginocchio. La Beretta lo interpreta nell’ormai iconico color cammello e lo compone con un pregiato tessuto misto lana e cashmere, estendendo la forma cocoon anche nelle maniche a kimono. La referenzialità di questo capo, il modello quasi marziale ma allo stesso tempo chic affascinano la donna dell’epoca: il linguaggio non si impostava più su una dialettica uomo-donna in cui la donna era importante perché appariscente. La donna acquisiva importanza perché lavoratrice, in carriera, perché manager.

Disegno originale MaxMara 101801 via maxmara.com Mother and daughter campaign, ph. Alberto Zanetti by LaDouble J via maxmara.com
Quest’idea comincia a insinuarsi nelle campagne pubblicitarie del marchio: l’autunno/inverno 82-83, scattato da Mike Yavel porta la donna in un mondo business che fino a quel momento non era mai stato toccato.
Gli anni Novanta e i primi Duemila vedono il brand emiliano consolidarsi come gigante della moda, sia per la suddivisione e la differenziazione dell’offerta commerciale che permette una crescita molto ampia verso numerose aree merceologiche, sia per le iconiche campagne pubblicitarie realizzate in collaborazione con i migliori fotografi del momento. L’A/I 93-94 vede protagonista Carla Bruni, colta in un elegantissimo capospalla dall’obiettivo di Max Vadukul. Nel 1998 diventerà iconica la campagna scattata da Richard Avedon che mostra una Maggie Rizer in un contesto tra l’ultraterreno e l’iper-razionale.
Max Mara, A/I 1982-83, Ph. Mike Yavel Carla Bruni per Max Mara, A/I 1993-94, Ph. Max Vadakul Maggie Rizer per Max Mar A/I 1998-99
Il 2009 è un nuovo anno di svolta per il Max Mara. Il lungo sodalizio con Anne-Marie Beretta termina e viene designato come suo successore Ian Griffiths, parte del team creativo MaxMara dal 1987. Lo stilista inglese conferisce nuova linfa vitale al marchio, fornendo, come affermato dal New York Times in un articolo pubblicato il 14 marzo 2019, un graffio «punk-rock» che serviva per creare nuovo excitement intorno al mondo MaxMara.
Così, nel 2016, il brand si allinea alla tendenza del mercato e crea la celebre pre-fall see-now-buy-now in collaborazione con l’artista cinese Liu Wei.
Il 2017 è un altro anno cruciale: Griffiths rilancia il Teddy Bear. Sull’onda del movimento #NoFur, lo stilista riprende il cappotto, già proposto dal brand negli anni Ottanta, realizzandolo con tessuto di peluche, avvalendosi di fibre plastiche sviluppate in fabbriche tedesche di giocatoli. Il capospalla ha un successo strepitoso soprattutto nel mercato asiatico tanto che, nel dicembre del 2018 vince il premio Best of the Best di Robb Report China.
Nel 2020, il marchio MaxMara conta più di 2000 negozi e 5.600 dipendenti.
Laura Lusuardi ha detto: «Non potrei mai sbarazzarmi di un cappotto, non sarebbe nemmeno una buona idea! È stupendo vedere come i cappotti cambino durante il corso del tempo rimanendo, comunque, uguali a loro stessi». MaxMara è sinonimo del prêt-à-porter italiano, ma non solo. Negli anni è stato in grado di adattare la propria visione della donna, del mondo e della moda in maniera costante, valorizzando continuativamente la propria cliente. Max Mara nasce negli anni ‘50 per vestire le mogli degli uomini della classe borghese (avvocati, professionisti, imprenditori), oggi a distanza di quasi 70 anni è il marchio di riferimento per le donne che svolgono questi lavori, senza distinzione di età, classe o nazionalità.
Non c’è solo MaxMara, dunque. esistono otto altri marchi che hanno l’obiettivo di vestire ogni donna, a qualsiasi livello. 8 grandi firme, che descriviamo qui di seguito
SPORTMAX
DAL 1969
Sperimentazione, Spregiudicatezza, Creatività

1969. Dopo più di 10 anni di studio creativo e di successi a marchio MaxMara, Achille Maramotti decide che è arrivato il momento di puntare sulla ricerca stilistica, creando un brand dedicato. Così nasce Sportmax, fondato sui principi di sartorialità, di total look e di sperimentazione su colori, forme, materiali e fantasie.
Figlio dei rivoluzionari anni Sessanta, il brand è ispirato dalla già citata POP Collection MaxMara: il cuore pulsante rimane la grande attenzione alla ricerca del trend, ma la caratteristica fondamentale diventa la coralità delle voci creative che lo compongono. Il successo iniziale del marchio, infatti, nasce da un team creativo dove non è mai emerso un singolo stilista, nonostante le prestigiose collaborazioni.

Nel 1976 Sportmax è in passerella, per la prima volta, nella Settimana della Moda di Milano all’Hotel Principe di Savoia. I pezzi forti della collezione sono due lunghi trench, uno verde prato e uno rosso fuoco con cuciture a contrasto. Nel 2019, a 50 anni dalla fondazione, il capo è stato riproposto in un revival estremamente contemporaneo, dall’anima clubwear.
Negli anni Ottanta un ricambio ai vertici aziendali coincide con un grande rinnovamento in casa Sportmax. Luigi Maramotti, primogenito di Achille, assume la direzione del gruppo insieme al fratello Ignazio e alla sorella Maria Ludovica. Nell’83 si decide che Laura Lusuardi, che era stata regista fino a quel momento dell’ascesa del marchio, avrebbe passato il testimone a Grazia Malagoli la fashion director che ancora oggi coordina un pool di giovani creativi, sempre attenti a unire avanguardia stilistica, alta qualità e saper fare italiano. La Malagoli in un’intervista a L’Officiel Italia del 17/03/2020 ha dichiarato di aver impostato il suo mindset creativo sull’estetica nippo-parigina degli anni 70 e 80:
Erano gli anni in cui la moda è esplosa e gli stilisti avevano una grande personalità e raccontavano un’individualità attraverso le loro creazioni. È stato un periodo di scoperta e di stimolo che mi ha permesso di capire meglio la moda e come muovermi in determinati spazi. Mi vengono in mente le sfilate dei giapponesi Yamamoto e Comme des Garçons che sono state per me illuminanti per la loro capacità di esprimersi attraverso i materiali e per l’assenza di limiti alla creatività che trasmettevano. L’ironia di Gaultier, la femminilità di Montana, Mugler e Alaïa mi sono rimaste impresse nella mente.
Grazia Malagoli, L’Officiel

Yohji Yamamoto, 1988 Comme des Garçons,
P/E 1982Jean-Paul Gaultier,
anni ’80Claude Montana, PE 1980 Thierry Mugler, anni ’80 Azzedine Alaïa, anni ’80
La donna Sportmax secondo Malagoli è forte, dotata di grande personalità, e innamorata di abiti in grado di esprimere il proprio coraggio e la propria forza. Così, all’alba della sua nomina, decide di avvalersi di un team internazionale molto nutrito, formato da personalità che scriveranno il loro nome nella storia Sportmax, come Guy Paulin e Peter Lindbergh, i quali saranno determinanti nello studio delle silhouette, dei volumi e dei materiali.
Sportmax autunno/inverno 1985, ph. Peter Lindbergh sportmax overcoat
anni ’80Sportmax prima/estate 1987, ph. Peter Lindbergh
Durante gli anni Novanta, il brand lavora in maniera indefessa nell’analisi dei nuovi trend, arricchendo il marchio di quell’immagine neoromantica e sportiva che permane ancora oggi, anche grazie alla collaborazione con grandi fotografi come Albert Watson e Marc Hom.
Sportmax, Autunno/Inverno 1993, ph. Albert Watson Sportmax trench anni ’90 Sportmax Autunno/Inverno 1998, ph. Marc Hom
Gli anni Duemila e Duemiladieci consacrano Sportmax come marchio in continua innovazione tecnica e ricerca di nuove forme di femminilità, scolpendo alcune tipologie di linguaggio nella riconoscibilità di marca tra sperimentazione e pragmatismo.
Sportmax a/i 2004 ph. Mikael Jansson Abiti Sportmax anni 2000 Sportmax a/i 2009 ph. David Sims Sportmax a/i 2010 ph. David Sims Capispalla Sportmax anni Dieci Sportmax a/i 2011 ph. David Sims
iBLUES
Dal 1975
Freschezza, ironia, femminilità
Forte della positiva esperienza e del grande successo del lancio di Sportmax, Achille Maramotti decide di differenziare ulteriormente l’offerta. iBlues nasce nel 1975 a partire da un bisogno sempre più stringente all’interno del gruppo: il boom economico, il benessere diffuso in fasce sempre più variegate della società e la progressiva assunzione di referenzialità da parte del made in Italy, erano elementi di grande opportunità per gli imprenditori del settore moda. Maramotti coglie l’occasione e decide di sviluppare un marchio che espandesse la propria offerta in maniera orizzontale. Proprio per la sua caratterizzazione democratica si sceglie di utilizzare un nome che non ricordasse quello della casa madre, ma che avesse un legame con quel mondo statunitense che tanto aveva ispirato il fondatore.
iBlues nasce con un focus esclusivo sulla maglieria e ottiene un successo immediato proprio grazie alla settorializzazione dell’offerta e della conseguente molteplicità in termini di forme, colori e tagli dei quali i prodotti disponevano. Così i pullover, i cardigan, i twin-set e gli incrociati iBlues diventano, negli anni Settanta un must nel guardaroba femminile tanto che, negli anni Ottanta si decide di espandere l’offerta verso il total look.
Ad oggi il marchio iBlues è un punto di riferimento per le giovani donne sempre interessate a essere al passo col mondo della moda e coi nuovi trend, senza però risultare eccessive.
PENNYBLACK
Dal 1978
Innovazione, praticità, equity.

La gender equity secondo Max Mara. Ispirato alla praticità e dal razionalismo della moda newyorkese, il marchio Pennyblack è uno dei primi che propone un guardaroba completo per la donna in carriera. È una grande intuizione perché il marchio si inserisce perfettamente nel contesto sociale e nel processo evolutivo del gruppo. Al tramonto degli anni Settanta, quando i movimenti femministi hanno finalmente trovato riscontro e supporto da parte dell’opinione pubblica, il mondo della moda si rende conto che la donna non è definita semplicemente in base alla sua estetica: la donna lavora, ha una carriera e, soprattutto una dignità all’infuori del nucleo famigliare. Pennyblack riesce, in questo senso, a declinare un abbigliamento smart e business a una ricerca stilistica senza precedenti. Così i blazer, i tailleur e i pantaloni coordinati si riempiono di pied-de-poule, righe e check, rendendo le stampe, i colori e le fantasie punto fisso dell’heritage di marca.
Ad oggi Pennyblack ha mantenuto intatta la sua vena innovativa e pratica declindosi con ironia a un guardaroba completo.
MARINA RINALDI
Dal 1980
Love-your-Body, femminilità, tradizione

Style is not a size… it’s an attitude! Questa storia era iniziata proprio con lei, Marina Rinaldi, una donna che, con il suo atelier era un punto di riferimento per tutte le signore di Reggio Emilia. Tutte, senza distinzione di età e, soprattutto, di taglia. La famiglia Maramotti ha voluto celebrare la capostipite del gruppo con un brand che portasse il suo nome.
Così negli anni Ottanta nasce Marina Rinaldi, un marchio che, già nel suo concept iniziale, rappresenta una svolta nella storia del costume proponendo, per la prima volta nel mondo, una collezione total look per donne curvy.
Negli anni Ottanta, l’idea che trasmetteva il fashion system si basava su un modello esclusivista secondo il quale la silhouette femminile, per essere considerata accettabile, doveva essere sottile, ossuta, quasi amorfa. Per le donne formose l’opzione migliore era quella di abbigliarsi con capi oversize per coprire il più possibile i “difetti” fisici.
Marina Rinaldi ha voluto scardinare questo concetto e, con quasi 40 anni di anticipo, ha studiato il corpo della donna conferendogli dignità in tutte le sue forme e misure.
Non solo, le collaborazioni prestigiose, come quella con Stella Jean nel 2016 hanno dimostrato come il marchio sia alla costante ricerca di una moda sempre più equa, democratica e vicina alle donne. A tutte le donne.
Ad oggi il brand conta più di 300 negozi nelle principali città del mondo.
Marina Rinaldi Vogue Italia, ottobre 1983 Marina Rinaldi Vogue Italia settembre 04 Marina Rinaldi Vogue Italia ottobre 05 Marina Rinaldi Vogue Italia settembre 08 Marina Rinaldi Vogue Italia editoriale luglio 08 Marina Rinaldi Vogue Italia giugno 11


WEEKEND MAX MARA
Dal 1984
Leggerezza, Libertà, Formal-informality
Un nome programmatico e un marchio un po’ incompreso. Sì, perché quello che dai più è percepito come una semplice label o sottocategoria del brand madre (complice forse il naming, ndr) è, in realtà, un marchio con una filosofia e un’identità forte e autonoma.
Negli anni Ottanta, l’establishment del gruppo stabilisce che la nuova donna Max Mara, non più solo moglie, ma manager e professionista, avesse bisogno di un punto di riferimento anche per il tempo libero. Si decide, dunque, di dare vita a un nuovo marchio che incorporasse tutti i valori di femminilità Max Mara, declinandoli a un mondo life-style. Il brand comincia, dunque, a ragionare sul concetto di utility-de-luxe, creando una moda easy-chic che giustapponesse dialetticamente formalità e informalità.
Nasce, così, uno studio sui materiali naturali che potessero fare in modo che questo concetto di libertà, leggerezza e spensieratezza fosse traslato direttamente sulla pelle delle clienti: così Weekend Max Mara ha cominciato a lavorare con il lino, il cotone, il cashmere, le lane, i tweed e il denim, rendendoli elementi imprescindibili per ogni sua collezione.
Questo concetto di libertà è ben espresso dal logotipo del brand: una farfalla, simbolo inconfondibile di libertà e leggerezza.
Negli anni Weekend Max Mara ha sviluppato molto le proprie linee realizzando capi ormai iconici e continuativi per il gruppo, come la Pasticcino Bag.
MAX&CO.
Dal 1986
Chic, Glamour, Ecletticismo
MAX&Co., VOGUE Italia, agosto ’99 MAX&Co., VOGUE Italia, agosto ’99 MAX&Co. primavera/estate 2020



La moglie, la donna in carriera, la donna indipendente, la donna libera. Mancano pochi tasselli per rendere l’offerta completa: uno di questi si rivolge all’espandere la filosofia innovativa Max Mara a un pubblico più giovane.
Sono pochi, apertis verbis, quei fashion brands che, nella storia, sono riusciti a parlare a un pubblico giovane senza scadere nell’utilizzo improprio di un linguaggio non pertinente.
MAX&Co. è risuscito in quest’intento, e ci è riuscito per un semplice motivo: il linguaggio di marca si è limitato a proporre forme nuove, a-la-mode ma senza eccesso, che si adattassero a un guardaroba più giovanile, senza mai scadere nel trito concetto di trend-del-momento ma proponendo capi continuativi, timeless con un pizzico di dinamismo.
Max & Co. parla a una donna giovane, certo, ma una donna consapevole, intelligente e interessata, che ha tutte carte in regola per diventare una donna Max Mara.
MARELLA
Dal 1988
Easy-Chic, Femminilità, Timeless

Brand nato ufficialmente nel 1988, ma presente come label dal 1976. Inizialmente l’idea della linea Marella era quella di riproporre nuove interpretazioni dell’archivio storico Max Mara, per mantenere l’offerta sempre fresca e al passo coi tempi.
Nel 1988 se ne percepisce lo sviluppo come opportunità di mercato e, la reinterpretazione del guardaroba è diventato il leitmotiv del brand a più livelli, compresi i materiali e le lavorazioni, permettendo al gruppo un’accessibilità più ampia in termini di mercato.
Ad oggi Marella è percepito come uno dei marchi di punta del MMFG e, grazie all’essenzialità delle sue linee e al carattere continuativo delle sue proposte, si è inserito a tutti gli effetti nel panorama dei marchi understated della moda italiana.
PERSONA
Dal 2010
Love-your-body, praticità, femminilità
L’ultimo tassello di questa storia viene inserito nel 2010 quando, ispirati dalla più che positiva esperienza di MAX&Co., il gruppo decide di introdurre il mondo Marina Rinaldi a un pubblico più giovane. I prezzi contenuti, uniti a una ricerca stilistica e manifatturiera che si adattasse a una figura prosperosa hanno reso il marchio Persona, uno dei più innovativi e contemporanei degli ultimi anni.
Questa è la storia di un gruppo che non è semplicemente un gruppo. È la storia di un marchio che ha fatto in modo che il prêt-à-porter italiano fosse riconosciuto a livello mondiale, è la storia di un uomo che con i suoi «cappottini», come amava chiamarli con paterna e affettuosa sufficienza, ha creato un simbolo di femminilità, nel senso più completo del termine.