Stella Jean

Una conversazione coerente e consapevole tra Nord e Sud del Mondo
Quando la giovane Stella Novarino si iscrisse all’Università “La Sapienza” di Roma, con il sogno di diventare ambasciatrice, non avrebbe mai pensato che, un giorno, il suo nome sarebbe stato annunciato da Milano a New York, passando per Londra e Parigi. Non sapeva, insomma, che sarebbe diventata Stella Jean.
Oggi, il suo lavoro di ambasciatrice si svolge in maniera molto particolare e riesce ad unire culture profondamente diverse, come quella africana, europea e haitiana. Riesce in questo intento almeno due volte all’anno e non deve mai proferire parola. Con lei, infatti, il processo diplomatico funziona in maniera diversa: ha origine dalla creatività, dai disegni e dalla profonda conoscenza del mondo artistico e della tradizione tessile dei paesi che decide di far incontrare.
Stella Jean è una delle più apprezzate fashion designer emergenti.

La nostra protagonista nasce a Roma nel 1979. La sua identità multiculturale è presente e viva sin dalla nascita: è infatti figlia di un designer di gioielli torinese, Marcello Novarino e di un’elegante donna haitiana, Violette Jean. Cresciuta con un forte legame con entrambi i mondi, Stella sviluppa una spiccata sensibilità culturale anche grazie al percorso di studi che intraprende. La sua formazione primaria comincia all’Institut Saint Dominique a Roma, istituto cattolico domenicano francese, del quale la madre era assidua frequentatrice. In seguito, la stilista opta per il liceo classico Mamiani, dove approfondisce discipline quali la letteratura greca, latina, italiana e la storia dell’arte. Lo studio e la conoscenza dettagliata di questi due mondi così lontani la porta a decidere di intraprendere la carriera diplomatica. La Jean, infatti, si iscrive alla facoltà di Scienze Politiche, proprio con quest’intento.
In concomitanza con il campo delle relazioni internazionali, l’imprenditrice si è sempre dimostrata appassionata ed interessata al mondo della moda. Sin da piccola, infatti, respira in casa una vibrante aria di creatività, tra la professione del padre e la sua passione per gli abiti sartoriali e i gusti «estremamente raffinati della madre» (griotmag.com, 2015), Stella sviluppa un gusto estetico contrastante ma molto vivo che la porta, durante il suo periodo universitario, a interessarsene in maniera attiva. Entra, infatti, a contatto con la moda grazie ad una famiglia molto influente in questo campo: i Furstenberg, grandi amici dei suoi genitori. Stella comincia, dunque, a lavorare come modella per il designer Egon von Furstenberg, nonostante la resistenza da parte della madre, la quale, dato il suo spiccato orientamento religioso, non ammetteva certe licenze vestimentarie. La Jean, comunque, comincia il suo percorso e sfila per diversi anni. Quell’esperienza è, da lei, così ricordata: «non mi dava soddisfazione mostrarmi e basta. Trovavo molto più interessanti i momenti passati in atelier, quando ti montavano i vestiti addosso. Sei letteralmente circondata da un esercito di sarte che sembrano dei Templari impegnati in chissà quale cerimonia scandita da termini e movenze che portano alla creazione di un abito» (Griotmag.com, 2015). È in questi momenti che la stilista comincia a pensare al mondo della moda come qualcosa di attivo, come un mondo in cui la creatività e il proprio io, diventano concreti, reali e palpabili.

Tutto quello che aveva imparato a scuola e tutte le conoscenze che aveva acquisito nel mix culturale di casa sua, vengono messe in pratica nella sua prima collezione, presentata nel 2010 a Who’s On Next?, concorso per giovani fashion designer indetto annualmente da Vogue Talent e AltaRoma. Le prime due partecipazioni non riscuotono un grandissimo interesse presso la critica. Decide, perciò di seguire il consiglio di Simonetta Gianfelici, una delle talent scout dell’iniziativa e, eliminando le collezioni fino a quel momento presentate, disegna ciò che di più unico possiede: la doppia nazionalità. Nasce, così, la collezione Wax & Stripes, dove il termine “wax” indica il particolare tessuto cerato e decorato con colori sgargianti tipico dell’Africa orientale, mentre per “stripes” s’intendono le strisce, una delle fantasie maggiormente utilizzata per le decorazioni delle camicie maschili. Con quest’espressione, dunque, è subito chiaro che la creatività della stilista si basa su una giustapposizione fondamentale: l’anima libera e tribale di culture esotiche e l’indiscussa eleganza della tradizione sartoriale italiana. Questa nuova filosofia e questo match stilistico affascinano la commissione che le assegna il primo premio.
È in questa cornice di successo e sperimentazione che nasce l’impresa chiamata “Stella Jean”.
L’azienda nasce ufficialmente nel 2012 e raggiunge risonanza internazionale già l’anno successivo. Nel 2013, infatti, la stilista collabora con l’Ethical Fashion Initiative, uno dei progetti di punta dell’ITC (International Trade Center) che si occupa della promozione del lavoro artigiano nei Paesi africani, contro lo sfruttamento della manodopera. Stella Jean è una delle partner principali e, proprio grazie all’impegno sociale messo in pratica, è stata scelta nel 2013 da Giorgio Armani per presentare la sua collezione all’Armani/Teatro di Milano. In quell’anno la designer ha disegnato una linea realizzata con i tessuti tipici del Burkina Faso, intrecciati interamente a mano da artigiane del luogo. Simone Cipriani, responsabile del progetto, in un’intervista rilasciata a Business of Fashion dichiara che «la centenaria tradizione tessile del Burkina Faso può solo essere elevata a livello di lusso, in quanto quei tessuti intrecciati a mano sono estremamente difficili da realizzare. La partnership con la designer nasce proprio dalla sua capacità di utilizzare questi materiali e dalla passione di coinvolgere le persone nella sua linea produttiva in un processo sostenibile».

(Photo by Catwalking/Getty Images) (Photo by Catwalking/Getty Images) (Photo by Catwalking/Getty Images)
Di questo concetto di métissage culturale, Stella Jean ha fatto il proprio cavallo di battaglia. Moltissime sono, infatti, le tradizioni tessili dalle quali prende ispirazione: partendo, ad esempio dalla collezione autunno/inverno 2012-13, la prima con la quale ha calcato le passerelle della settimana della moda, è evidente come già tutti gli elementi presentati nella sfilata compiano un continuo gioco di culture tra nord e sud del mondo. I classici tessuti e fantasie swahili vengono accostati a elementi tipici della cultura occidentale: in questo modo il kanga keniota, viene utilizzato come gonna parisienne e completamente reinventato in termini di fantasie, piuttosto che il tessuto kitenge, tipico di tutta la zona orientale dell’Africa, accompagna abiti d’ispirazione anni 50, ampie gonne plissettate e cappotti a uovo super-chic. L’elemento più interessante, tuttavia, è il fatto che Stella Jean faccia uso di tutti questi elementi, sempre in maniera rispettosa delle tradizioni dei paesi dai quali prende ispirazione. Il sopraccitato kanga, decorato dalle donne africane con un messaggio sempre volto a comunicare significati ben precisi, viene qui disegnato in chiave “city”, con ombrelli e caramelle stilizzate. Nulla è casuale.
(Photo by Ernesto Ruscio/WireImage) (Photo by Elisabetta A. Villa/Getty Images) (Photo by Ernesto Ruscio/WireImage)
Questa coerenza viene esplicitata in maniera ancora più forte nella collezione Primavera/Estate 2015, nella quale la stilista inserisce il suo paese d’origine: Haiti. Le gonne e gli abiti, in questo caso, vengono caricati di grande significato con stampe che riproducono l’arte naif haitiana degli anni 50. Stella Jean stessa, parlando della collezione, afferma quanto segue: «uno dei più importanti ministri della cultura francesi, André Malraux, aveva studiato molto quest’arte arrivando a dichiarare che l’isola, dal punto di vista artistico, fosse il posto più magico in cui fosse mai stato. Una cosa, poi, che contraddistingue gli haitiani è la classe, il modo di vestire, ci tengono molto. Ora bisogna lavorare affinché si smetta di credere che Haiti sia l’estensione di una bidonville. La collezione SS 2015 è praticamente dedicata ad Haiti dove sono ritornata recentemente per incontrare alcuni artigiani locali con i quali voglio realizzare degli accessori speciali». (Griotmag.com, 2015). Le scelte non sono, dunque, mai casuali e la sua attenzione, mai squisitamente estetica.
Yannis Vlamos, Vogue.com Yannis Vlamos, Vogue.com Yannis Vlamos, Vogue.com
Anche nelle capsule collection realizzate finora, la Jean ha sempre prediletto partnership con brand che esprimessero un sistema di valori sostenibile e in tutto e per tutto in linea con la filosofia della maison.
In questo modo la collaborazione del 2016 con United Colors of Benetton assume un particolare significato: il brand pioniere della moda democratica, famoso per le sue controverse campagne che, a partire dagli anni Ottanta hanno sempre celebrato il concetto di “diversity”, diventa il partner perfetto per creare una collezione atta ad esprimere una nuova conversazione culturale. Senza mai scadere nel concetto di appropriazione, la Jean è in grado di armonizzare più tradizioni in maniera consapevole. Così i capi coccoon, i capispalla e le maglie in cashmere e mohair di ispirazione dichiaratamente Navajo Yei, si intrecciano con gli accessori prodotti direttamente da artigiani locali dell’Etiopia e di Haiti, creando un melting pot del tutto inedito.
Lo stesso anno collabora con il brand Marina Rinaldi approcciando a un nuovo concetto di diversità: Il marchio del gruppo Max Mara, infatti, è uno dei pochi che, negli anni, sia riuscito ad affermarsi come casa di moda dedicata esclusivamente a donne curvy. In questo modo i disegni di Stella trovano nuova linfa vitale: il crossover culturale messo in atto dalla Jean si traduce in coloratissime stampe grafiche e jaquard geometrici che, senza curarsi del concetto per il quale “se sei curvy ti devi vestire di nero”, genera un’esplosione di colori e materiali che hanno come obiettivo la celebrazione della bellezza femminile contemporanea. Senza imposizioni. Senza forme. Senza confini.
La maison romana, negli ultimi anni, ha espanso ulteriormente il proprio raggio d’azione dal punto di vista della riqualificazione del lavoro artigiano nel mondo inaugurando, nel 2019, il Laboratorio delle Nazioni. Questo progetto è, de facto, una dichiarazione di poetica e una presa di posizione netta della maison: ogni collezione, grazie a questa iniziativa, porterà in passerella la tradizione tessile di un nuovo Paese con l’obiettivo di celebrare e supportare il settore tessile locale. Non solo. Il progetto ha l’obiettivo di creare un ponte culturale tra l’Italia e i Paesi in via di sviluppo con l’obiettivo di contribuire concretamente al Sustainable Development Goal 2030, che prevede, entro quell’anno, i seguenti obiettivi:
- Eliminazione della povertà
- Gender Equality
- Significativa crescita lavorativa ed economica
- Riduzione dell’ineguaglianza
- Consumo e produzione responsabile
- Collaborazione globale
Grazie a questa iniziativa, della quale fanno parte retroattivamente anche le collezioni antecedenti al suo concepimento, la Jean ha già intrapreso nove “missioni”: a partire dalla già citata collaborazione con ITC per il Burkina Faso, nella quale ha valorizzato al massimo la tessitura a mano e il tradizionale Faso Dan Fasi, le collezioni della stilista romana hanno incluso il Bogolan malese, con la sua tipica tintura a fango fermentato (P/E 2015), il preziosissimo kente del Ghana (A/I 2018-19), gli accessori ispirati alle scatole del gioco siriano backgammon realizzati insieme al giovane stilista Asaad Khalaf (A/I 2017-18), la lavorazione della lana alpaca e la tecnica di ricamo del Peru (P/E 2019), il Papier Maché e il Fer Forgé di Haiti (A/I 2019-20), il cotone biologico e le stoffe rigate tessute a mano dagli artigiani del Benin (P/E 2020), fino ad arrivare a inserire in passerella, per la prima volta nella storia della moda, un omaggio alle donne Kalash pakistane, una comunità fortemente a rischio con una tradizione tessile unica nel mondo. (A/I 2020-21).
BURKINA FASO; Faso Dan Fani, Handloom, handwoven fabrics MALI; Bogolan : Traditional mud cloth GHANA; Kente cloth: Handloom, handwoven fabrics SYRIA; Backgammon traditional box SYRIA; Backgammon traditional box PERU; Alpaca wool and Traditional wool embroidered motifs HAITI; Papier Maché and Fer Forgé HAITI; Papier Maché and Fer Forgé BENIN; Handloom, handwoven fabrics KENYA; Reforestation and local communities empowerment project supported with an ethical t-shirt capsule PAKISTAN, celebration to Kalash Women
Questi sono presupposti che hanno permesso a Stella Jean di viaggiare e di conoscere, mettendo in campo know-how italiano e abilità locali. Il lavoro della designer, dunque, non si ferma solo alla moda ma arriva a toccare la diplomazia in tutti i suoi aspetti creando un dialogo consapevole tra Nord e Sud del mondo e acquisendo, ma soprattutto donando valore.